Come in tutti i film su psicologi e pazienti, co-protagonisti essenziali sono una poltrona e un divano: sulla prima siede il dottor Lang, perno delle vicende e dei racconti che si intrecciano nel suo studio, sul secondo transitano i personaggi e gli attori che popolano il nuovo lungometraggio di Sandra Nettelbeck, ormai una habitué della Piazza Grande di Locarno, dove ha già presentato Bella Martha nel 2001 e Mr. Morgan’s Last Love nel 2013. Il film si apre sull’immagine di un canile, e tutti i personaggi sembrano apparirci come quelle bestiole: ognuno isolato e prigioniero, ma di una gabbia invisibile dalla quale per fuggire non basta scodinzolare allegramente. Per giunta nessuno di loro è più un cucciolo, ma un esemplare adulto con il suo bagaglio di ferite e battaglie, e diventa ancor più difficile convincere qualcuno ad amarli, o almeno a prendersene cura. Diversamente da gran parte dei film incentrati sulla psicoterapia, che da Spellbound a Zelig, da Analyze This a La stanza del figlio hanno al centro il rapporto tra un medico e un paziente, Was uns nicht umbringt fa dell’analisi l’occasione per un film plurale, palcoscenico per un cast mirabile, all’altezza della sfida di far affiorare in silenzi, gesti ed espressioni tutto quanto non si riesce a dire a parole. Ma la sceneggiatura e il film di Nettelbeck confidano nella capacità dei loro personaggi di riuscire finalmente ad esprimere quello che provano, di trovare il coraggio per affrontare malesseri, lutti e sofferenze, nell’impresa titanica di cercare semplicemente quello di cui hanno bisogno. Se funziona per loro, possiamo immaginare quella poltrona trasformarsi in sedia della regista, quel divano allargarsi per inglobare la platea e trasformare la visione collettiva in terapia di gruppo, ci si augura efficace per gli spettatori quanto per i personaggi. Dottoressa Nettelbeck, quando ci vediamo la settimana prossima?
