News  ·  10 | 08 | 2018

Sulle orme di Hitchcock

Searching - Piazza Grande

Diventato presto un caso al Sundance, dove la Sony se l’è preso per cinque milioni di dollari, Search (poi ribattezzato Searching) è al contempo un originale rivisitazione del noir (tipicamente losangelino) e una riflessione su come il rapporto con l’interfaccia informatica ha cambiato il nostro modo di relazionarsi alla realtà. La storia vede un padre di famiglia (John Choo) mettersi sulle tracce della figlia di cui non ha notizie sfruttando le possibilità offerte dalla rete. Come un detective, districandosi tra videochiamate, skype, google map e social network, l’uomo scopre aspetti inediti della vita della figlia, fino ad avvicinarsi alla soluzione del mistero. Da un punto di vista narrativo, Searching usa un dispositivo hitchcockiano. Il suo protagonista è un innocente, qualcuno con cui fin da subito lo spettatore s’identifica. E’ uno di noi ma vive una situazione eccezionale: non solo non riceve segnali dalla figlia ma di fronte a questa situazione (essere sconnesso) si sente inerme e imprigionato. Allora sfrutta quest’immobilità a suo vantaggio.

Al suo film d’esordio Annesh Chaganty sembra aver realizzato uno dei sogni del regista di Finestra sul cortile “girerei tutto un film in una cabina telefonica”. Per tutto il film, infatti, di John Choo non vedremo che il volto attraverso il monitor e sempre attraverso un monitor scopriremo tutto quanto egli vede. Tenere il racconto chiuso dentro questo spazio irreale non è solo la risposta alla richiesta del geniale produttore Timur Bekmambetov (che da 2015 ha creato un genere per questo tipo di racconti, lo “screen life”) ma anche la possibilità di indagare il nostro distorto rapporto con la realtà. Da un lato Chaganty ci conferma che tutto il mondo è a portata di “clic”, che davvero non è più necessario uscire di casa; dall’altra ci insinua un dubbio essenziale. Alla fine infatti viene da domandarsi: se tutto quanto abbiamo visto non fosse avvenuto?

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