News  ·  17 | 02 | 2019

Addio Bruno, arrivederci Damiel

Addii che lasciano senza parole. E che poi, provando a ritrovarle, per lui non si ha timore di spendere: venerdì a Zurigo è sceso dal palcoscenico il più grande attore del cinema svizzero. O più semplicemente, Bruno Ganz. Angelo e demonio, Damiel e Führer, protagonista del cielo e dei bunker di Berlino, di un giro di balera e di una corsa in auto, del nuovo cinema tedesco e di un ritrovato cinema italiano. Inteprete sconfinato e sconfinante, Bruno Ganz ha saputo indossare l'anima di chiunque, si chiamasse Adolf Hitler (Der Untergang, di Oliver Hirschbiegel - 2004) o Fernando Girasole (Pane e tulipani, di Silvio Soldini - 1999), mostrando in ogni copione scelto il coraggio di chi ama la propria passione. Una passione che Ganz ha indagato, sfogliato, interrogato, testandola in moto perpetuo e ottenendo in cambio il sorriso di chi la dirigeva. Come Rohmer (La Marquise d'O..., 1976), Herzog (Nosferatu Phantom de Nacht, 1979), Wenders (Der Himmel über Berlin, 1987 e Der Amerikanische Freund, 1977), Bertolucci (Oggetti smarriti, 1980 e La domenica specialmente, 1991), Angelopulos (Mia Eoniotita Kai Mia Mera, 1998) e I skoni tou chronou, 2008), Demme (The Manchurian Candidate, 2004), Coppola (You Without You, 2007), Ridley Scott (The Counselor, 2013) e von Trier (The House That Jack Built, 2017).

Bruno Ganz era svizzero, svizzero nella fimografia - da Bankomatt di Villi Hermann (1989) a Heidi di Alain Gsponer (2015) passando per Taxiphone di Mohammed Soudani (2010) e Vitus (Fredi Murer, 2006) - e svizzero nella capacità di domarla sul set in tedesco, italiano o francese che fosse. Set che poteva condividere con Gregory Peck o Meryl Streep, ma in cui ogni benedetta volta si innamorava della macchina da presa, di cui era ostaggio e amante, concedendosi puntuali fughe a teatro, ammaliato dal richiamo di Brecht, per poi tornare, puntuale, e ricominciare ad innamorarsi.

E poi tante, tantissime volte Locarno. Se Zurigo, Venezia e Berlino erano le sue case private, il Locarno Film Festival per Bruno Ganz era la casa delle vacanze estive, quella degli amici e delle notti sotto le stelle. Difficile e inutile contare le volte che Bruno è stato con noi, dalle prime piazze con i calzoni corti e l'ombrello che ci raccontò sulla sedia gialla del Prix du Public UBS (Giulias Verschwinden, di Christoph Schaub - 2006), al Pardo alla carriera del 2011. Dai ritorni rimati da una piacevolissima abitudine negli anni '70, '80 e '90 fino all'ultimo tappeto rosso - forse il colore che meno gli piaceva del cinema - nell'agosto del 2016 (Un Juif pour l'Exemple, di Jacob Berger). I ritorni -inevitabimente - finiscono qui, come le parole. Fortuna che rimangono le immagini, quelle no non si spegneranno mai. Addio Bruno, arrivederci Damiel.

 

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