News  ·  14 | 08 | 2019

Danzando con la storia

Histoire(s) du cinéma - Unknown Pleasures - Sátántangó

Sátántangó non è semplicemente un film, è una esperienza. E adesso, finalmente, attraverso il piano decennale dell’Hungarian National Film Fund guidato da Ágnes Havas che sta riportando sugli schermi di tutto il mondo il canone del cinema magiaro, questa esperienza può essere vissuta anche dagli spettatori di Locarno grazie ad un nuovissimo restauro digitale in 4K curato da Arbelos in collaborazione con l’Hungarian Filmlab. Liberamente tratto dall’omonimo romanzo di László Krasznahorkai, la magna opera di Béla Tarr, l’autore dannato, il ponte tra il cinema classico ungherese di Fábri, Makk e Jancsó e la contemporaneità che ha portato a Márta Mészáros e László Nemes, si guadagna fin dalla sua premiere internazionale alla Berlinale del 1994 la fama di happening, di cinema portato agli estremi. Le sette ore e mezza di lunghezza e il suo bianco e nero sgranato lo piazzano di diritto nella leggenda tra i cinefili di mezzo mondo, la difficile reperibilità del film e l’ombrosità del cineasta di Pecs fanno il resto: nasce un cult movie. Jacques Rancière scrive che la sua “narrazione sottende una promessa e una truffa”, per Jonathan Rosenbaum è semplicemente “il miglior film degli anni Novanta”. In occasione del ritorno in Ticino di Tarr per la presentazione dei lavori girati con gli studenti durante il suo workshop all’ultima edizione di “L’immagine e la parola”, sarà un piacere rivisitare Sátántangó. In fondo Locarno è stato il primo festival di serie A che ha premiato Lav Diaz, cosa saranno mai sette ore e mezza?

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