News  ·  31 | 03 | 2020

Addio a Jean-Louis Roy

Se ne è andato un grande del cinema e della televisione svizzeri

Era pazzo della televisione e innamorato del cinema. Nel weekend, a 82 anni, se ne è andato Jean-Louis Roy. Uno che in qualche modo, sicuramente geniale e puntualmente bizzarro, era la televisione ed era il cinema. Per lo meno la televisione svizzera, che contribuì ad accendere da giovanissimo a Ginevra dopo un'infanzia cinefila passata tra un Chaplin e un Keaton; e per lo meno il cinema svizzero, di cui tracciò il nuovo orizzonte con il Gruppo 5. Jean-Louis Roy se ne è andato lasciando dietro di sè una lunga storia per immagini.

Con quello sguardo da Orson Welles tra il tenero e il tremendo, continuamente concentrato sull'orizzonte dell'audiovisivo, Roy viveva nello schermo, grande o piccolo che fosse. Lo schermo di Happy End, il programma di varietà e fiction scritto insieme a Pierre Koralnik che conquistò il Golden Rose Festival del 1964 a Montreux. E lo schermo di Black Out (1970), scritto con la compagna Patricia Moraz, che raccontava la quarantena forzato di una coppia di anziani terrorizzati da una minaccia nucleare. Ecco, Jean-Louis Roy non poteva che andarsene così, mentre il mondo e la storia, con mezzo secolo di ritardo, vivevano quella sua sceneggiatura, quel suo dramma ricamato con l'humor. 

Salutandolo, esattamente un anno dopo l'addio a Claude Goretta che insieme a lui, Michel Soutter, Alain Tanner, Jean-Jacques Lagrange e poi Yves Yersin diedero vita al Groupe 5 e al nuovo cinema svizzero, il Locarno Film Festival non può che ricordare una serata indimenticabile. Quando al FEVI, nel 2016, la Cinémathèque suisse regalò al nostro pubblico la proiezione del restauro in 4K de L'inconnu de Shandigor, il suo splendido delirio buffo tra spy-story, parodia e guerra Fredda. Una scheggia impazzita conficcata nella sua filmografia che tra uno 007 e un Elio Petri, con i contrasti in bianco e nero di un Dr. Strangelove svizzero, porta sullo schermo un grandissimo Daniel Emilfork e pure una ventata di Serge Gainsbourg. Diretti da un occhio, o meglio uno sguardo, che il cinema svizzero non scorderà mai.


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