News  ·  15 | 08 | 2020

Don’t Spy for Me, Argentina

Andreas Fontana ci parla del suo progetto, premiato dalla giuria Cinema&Gioventù di Locarno 2020

Andreas Fontana, ricevere un premio per il tuo progetto di film diventa un ulteriore stimolo per portarlo a piena realizzazione. Quali sono le tue emozioni a riguardo e quali sono i tuoi prossimi passi?
Sono molto contento, e penso soprattutto alla nutritissima troupe argentina, che da marzo non può lavorare, non ha ricevuto alcun sostegno statale e non vede la luce in fondo al tunnel . È inimmaginabile qui, eppure sta accadendo laggiù. Vorrei dedicare il premio a loro, prima di iniziare con la fase successiva, che è il montaggio del suono.

Con Azor tu ti spingi sulle rotte di un thriller d’ambiente bancario che si muove tra Svizzera e Argentina. Qual è la molla che ti ha spinto ad affrontare un tema dal contenuto politico-economico così forte?
Non è proprio un thriller bancario, ma più un film di spionaggio o di avventura con i banchieri. Mi sembrava che ci fosse una storia da raccontare sulle banche private, come cultura e territorio più che come argomento. Come lavora un banchiere privato? Quali regole segue? Qual è il suo codice? Quali sono le sue paure profonde? È qualcosa di molto misterioso e cinematografico, anche se ho dovuto pensare a una struttura con Mariano Llinas, che mi ha aiutato con la sceneggiatura. Inoltre, l'aspetto bancario è stato raramente affrontato dal punto di vista coloniale. Ebbene, durante la dittatura argentina e in altri momenti difficili in altre parti del mondo, le banche svizzere hanno avuto un ruolo in questa subdola forma di colonialismo.

Con questo film tu riporti le lancette del tempo agli anni 80. In che modo quel periodo storico dialoga con il presente?
Da un lato, ci sono alcune "risposte" dei giorni nostri a processi verificatisi allora. Ad esempio, la finanza, che ora è il dominatore indiscusso dell'economia, ha iniziato a prendere il sopravvento negli anni '80, costringendo i banchieri a diventare più aggressivi. Il film offre un'esplorazione immaginaria della fine di un sistema, o di un mondo, che è quello dei vecchi signori delle banche famigliari. D'altro canto abbiamo la questione della rappresentazione, perché fare un film d'epoca significa scegliere come rappresentare quel periodo. A un certo punto ero seduto su un vecchio divano di pelle completamente logoro con uno dei membri del cast, un attore non professionista che fa parte dell'alta borghesia argentina, e ha detto, riguardo al divano: "Questo è il colmo. Per essere rotto ora significa che era sontuoso in passato, generazioni fa. " In questo senso, Azor si svolge nel 1980, ma c'è un dialogo con l'idea che, per le persone in quella cerchia, ciò che conta è far parte della storia, nel bene e nel male.

In un contesto del genere, assumono un ruolo fondamentale i personaggi su cui s’incardina la storia. Che tipo di lavoro hai fatto a proposito della loro costruzione?
Ho fatto molti sopralluoghi, una sorta di viaggio antropologico, anche se non molto sistematico, e ho conosciuto molte persone, soprattutto legate agli ambienti trattati nel film: alta borghesia, finanza, avvocati d'affari, banchieri, proprietari terrieri , ecc. Ho usato questi incontri per scrivere il film e soprattutto per creare i personaggi. Ho quindi deciso, con la direttrice del casting argentina Maria Laura Berch, di utilizzare attori non professionisti provenienti da quei mondi. È stata un'impresa enorme e complessa. E poi, quando quella parte del casting era quasi finita (Alexandre Nazarian si stava occupando della parte europea in parallelo), ho riscritto i personaggi basandomi sulle persone che li interpretavano, integrando il loro vissuto e le loro particolarità. I personaggi sono l'elemento chiave del film.

L’interruzione del tuo film è dovuta all’emergenza COVID-19. Al di là della partecipazione a Locarno 2020, questo stop obbligato ti ha costretto in qualche modo a portare dei cambiamenti al tuo lavoro in corso?
La pandemia ha cambiato molte cose, in particolare il calendario di lavorazione, ma fortunatamente non ci sono stati grandi cambiamenti artistici. Ma era questione di mesi, perché le riprese, con una troupe internazionale, si sono concluse il 23 dicembre ... Detto questo, ho dovuto trovare un modo per lavorare a distanza con il montatore, Nicolas Desmaison, che non conoscevo all’inizio del progetto. È molto diverso studiare i giornalieri da solo e poi fare una videochiamata con qualcuno che conosci a malapena per parlare della sua opinione. All'inizio è un po' vertiginoso. Però va detto, il film aveva avuto diversi problemi anche prima della pandemia, e penso di poter dire che sopravvivrà ad essa.

Intervista a cura di Lorenzo Buccella

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