News  ·  15 | 08 | 2020

Close to Open Doors

Intervista a Sophie Bourdon, Head of Open Doors and Deputy Head of Locarno Pro

Open Doors ha avuto un ruolo di pima importanza nel corso di Locarno2020. Qual è il bilancio?
È stata un’edizione speciale e nuova, proprio perché allargata a tutti questi dispositivi digitali per cui non potevamo avere i punti di riferimento del passato. Sia per quel che riguarda la risposta del pubblico che del mondo dei professionisti. Anche perché se da un lato sapevamo benissimo quello che perdevamo per colpa dell’emergenza coronavirus, in particolare quella dimensione fisica dell’evento  come piattaforma di incontri, che per noi rimane fondamentale, dall’altro non appena abbiamo iniziato a lavorare su queste piattaforme online abbiamo subito compreso le nuove opportunità che questi nuovi mezzi ci offrivano. E la risposta è stata davvero positiva, visto che ci ha permesso di raggiungere zone del mondo e un pubblico più largo di quello che abbiamo abitualmente.

Un pubblico più vasto che ha potuto scoprire anche le tante facce diverse di una produzione altrimenti invisibile…
Pur avendo mantenuto il nostro focus su questi paesi del sud-est asiatico, già attivi sulle reti sociali e internet, anche per molti di loro l’offerta locarnese promossa online da Open Doors è stato un modo per scoprire film prodotti nei loro paesi. E questo perché in molte di quelle realtà, come l’Indonesia per esempio, non c’è un sistema cinematografico sufficientemente articolato che permetta di garantire l’accesso a tutta la diversità di film che lì vengono prodotti. Soprattutto per quel che riguarda i cortometraggi che spesso rischiano di rimanere “invisibili”, perché spesso non riescono a circolare nemmeno nei festival delle loro regioni. E questo può spiegare l’enorme successo che hanno riscontrato diversi cortometraggi che abbiamo proposto, con diversi sold out e film che hanno raggiunto 4500 spettatori.

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Sono i percorsi di questi autori che ci danno la conferma di quanto il potenziale di talenti sia molto più grande di quanto ci venga mostrato nella scena internazionale

E quali sono le principali scoperte sul piano cinematografico?
Mostrare la diversità cinematografica che viene prodotta in questi paesi del sud-est asiatico permette di sfatare alcuni cliché con cui vengono catalogate le loro produzioni. Perché se è vero che essendoci tanti paesi in cui non c’è una piena libertà d’espressione, questo non vuol dire che l’unico orizzonte cinematografico che abbracciano sia quello del cinema impegnato, fatto di drammi psicologici o argomenti duri. Così come succede anche altrove, anche nel sud-est asiatico c’è una tendenza che sembra farsi strada ed è quella percorsa da di chi cerca di combinare cinema d’autore e cinema di genere. Un orizzonte che mostra grandi potenzialità, perché attraverso thriller o commedie si può cercare di raggiungere un pubblico più largo, senza per questo rinunciare a denunciare o quantomeno mettere in luce i problemi che attraversano la società.

E sono tendenze che comunque rientrano in quella che da sempre è la missione storica di Open Doors…
La missione di Open Doors non è solo quella di far scoprire o riscoprire i talenti della regione del nostro focus, ma quello di far conoscere e aiutare a crescere quelli del futuro. Per questo la nostra massima attenzione si rivolge a quei registi che si trovano nel momento del passaggio dal cortometraggio al lungometraggio. E da questo punto di vista l’edizione 2020 ci mostra dei percorsi artistici che per noi sono altamente rappresentativi. Come quello, per fare un esempio, del giovane autore birmano Aung Phyoe, scoperto a Open Doors nel 2017, approdato con un cortometraggio ai Pardi di domani dell’anno scorso e tornato quest’anno con un progetto di lungometraggio sulla piattaforma dedicata alle coproduzioni. Sono i percorsi di questi autori che ci danno la conferma di quanto il potenziale di talenti sia molto più grande di quanto ci venga mostrato nella scena internazionale.

Al di là degli aspetti economici che non sono secondari, quali sono i maggiori ostacoli che incontrano questi giovani registi?
In tanti paesi come il Laos o il Myanmar, non ci sono scuole di cinema e soprattutto non c’è neppure una generazione più anziana di cineasti che possa trasmettere un bagaglio di conoscenze e di esperienze a chi viene dopo. Per questo la nostra sfida è proprio quella di aiutare una nuova generazione di talenti che altrimenti non potrebbe crescere. Spesso infatti sono autodidatti, con mezzi limitati, costretti come dicono loro a un “learning by doing”. Noi li andiamo a incontrare sul campo per conoscere la loro realtà e il loro modo di lavorare e poi in una seconda fase li accompagniamo con una serie di attività a distanza. E se da un lato il nostro obiettivo è proprio quello di cercare di sbloccare questo potenziale, dall’altro la nostra ambizione, tenendo un focus lungo 3 anni sulla stessa, è quello di arrivare a creare una sorta di ecosistema cinematografico. Puntando sui giovani, ma cercando di coinvolgere tutte le persone che operano sul campo cinematografico perché tutte possano progredire a un livello superiore di competenze: dai cineasti ai produttori. Solo in questo modo, con un lavoro a medio termine sia a livello sia locale che regionale, si può costruire un movimento in grado di fornire le basi necessarie e gli strumenti perché poi una cinematografia possa rafforzarsi da sola e crescere per meglio affacciarsi sulla scena internazionale.

Intervista a cura di Lorenzo Buccella

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