News  ·  07 | 08 | 2020

Open Doors e la storia che ritorna

Dall'Etiopia alla Georgia, passando per il Perù e Kazakistan: il viaggio Through the Open Doors prosegue in sala a Locarno

Dopo l'apertura di ieri 6 agosto con Made in Bangladesh di Rubaiyat Hossein, l'itinerario di Through the Open Doors, la versione in situ degli Open Doors Screenings di Locarno 2020 - For the Future of Films, prosegue nei prossimi giorni con quattro opere che condurranno gli spettatori delle sale locarnesi in un periplo che spazia dall'Etiopia alla Georgia e dal Perù al Kazakistan. I film presentati sono rappresentativi delle regioni che Open Doors ha posto al centro delle sue attività in passate edizioni e furono proposti nell'ambito delle rispettive panoramiche degli Screenings.

Si parte con Teza, il capolavoro di Haile Gerima, figura faro del cinema black, tra Africa e Stati Uniti d'America. Dopo anni passati ad interrogare l'identità afro-americana , Gerima è tornato alle sue radici etiopi con quest'opera capitale fortemente intrisa di autobiografia, per raccontare un percorso individuale che riflette sulla Storia post-coloniale del suo popolo. Monumento artistico costruito attorno ad un racconto fluviale in prima persona e illustrato attaverso un montaggio frammentario e seghettato, Teza vinse il Gran Premio della Giuria alla Mostra di Venezia 2008.

Tonalità ilari e apparentemente leggere caratterizzano il delizioso contributo georgiano alla selezione, Keep Smiling di Rusudan Chkonia. La regista imbastisce un brioso racconto tutto al femminile che è pure una sincera e toccante radiografia della Georgia contemporanea. Il pretesto è un insolito concorso di bellezza per donne con più di tre figli che promette in premio un appartamento e un assegno di 25,000$. In sintonia con il titolo, attraverso la sua galleria di ritratti femminili, il film completato da Chkonia nel 2012 porta al sorriso, ma fa pure riflettere e tocca le corde del cuore.

Anche Madeinusa, l'esordio datato 2006 della peruviana Claudia Llosa, si interroga sulla posizione del femminile nella propria società, nello specifico di un contesto isolato e intriso di opprimente tradizione patriarcale. Il titolo fa riferimento all'insolito nome della protagonista, adolescente cresciuta in un remoto villaggio andino che vede in un giovane geologo giunto dalla capitale la chiave per sfuggire al giogo paterno. Con il suo secondo lungometraggio La teta asustada (o in inglese, The Milk of Sorrow), Claudia Llosa vinse l'Orso d'oro di Berlino nel 2009 e portò il Perù alla sua prima nomination all'Oscar. Ma Madeinusa, ambientato sullo sfondo di rituali pre-cristiani integrati nella Settimana Santa, rimane il suo lavoro più impressionante.

Assolutamente da non perdere, infine, un raro gioiello presentanto in una preziosa copia 35mm offerta dalla Cinémathèque Française, l'opera capostipite della nouvelle vague delle steppe centro-asiatiche degli anni Novanta, Kairat di Darezhan Omirbaev. Premiato con il Pardo d'Argento di Locarno 1992, l'esordio del grande cineasta kazako porta esempio fulgido di come il cinema apra ad orizzonti umani e non solo geografici. Lungo i binari di un classico racconto iniziatico sullo sfondo dell'eterno conflitto culturale tra urbano e rurale, dove quest'ultimo s'identifica con l'identità kazaka tradizionale, Omirbaev racconta con allarmante bellezza e semplicità di una giovinezza perduta e di un avvenire in costruzione. Quello di un popolo, di un paese e di un cinema che negli anni Omirbaev ha costantemente interrogato con sublime perspicacia e talento.

Paolo Bertolin

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