News  ·  07 | 08 | 2020

Haneke, il continente della crudeltà

Il film di debutto del regista austriaco, a Locarno nel 1989, torna in sala in città grazie a Un viaggio nella storia del Festival

Dai muri della quotidianità non c’è possibilità di fuga. Soprattutto se, costretti a star dentro le istituzioni che la società ha creato, non c’è persona che abbia intenzione di uscirne. Nel film che segna l’esordio di un autore di calibro come Michael Haneke, vincendo a Locarno il Pardo di bronzo del 1989, è uno sguardo quasi da entomologo quello che lo spinge a mettere in scena la gabbia e non soltanto gli animali-umani che la popolano. E forse a contar ancori più della famiglia protagonista in Der siebente Kontinent (The Seventh Continent) sono gli oggetti che circondano i personaggi e che a poco a poco li asfissiano. Del resto, all’interno del silenzio assordante che s’incolla a figure impossibilitate nel comunicare fra loro diventa inevitabile che il dominio passi al suono del contesto, tanto monotono quanto straniante.

Come molto spesso è accaduto nel suo cinema, il regista austriaco prende di mira l’istituzione primaria della famiglia e la sabota dall’esterno, minandone le fondamenta. Così, i tre componenti che vorrebbero partire per l’Australia restano in realtà imprigionati dentro le mura domestiche, credendo, ingenui, che sia una loro scelta. E in fondo, questo conflitto che si delinea nel suo primo sarà una costante dell’intera filmografia hanekiana: l’illusione di poter trovare senso e libertà all’interno di una sovrastruttura che invece tiene salde le redini del comando, imprigionando il singolo individuo. Solo che qui, prima di approdare allo stile asciutto e crudele di opere future come Funny Games o La Pianiste, qui Haneke si lancia in soluzioni estetiche più ardite che lavorano soprattutto con i tempi differenti del montaggio. Non a caso, se l’apertura del film si concentra sui dettagli apparentemente innocui di una macchina all’autolavaggio, la chiusura, è una sequenza impazzita di oggetti, volti, situazioni che ci restituiscono il marasma immobile del nostro presente.

Lorenzo Buccella

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