News  ·  08 | 08 | 2020

Tanner of Love

Charles mort ou vif, il capolavoro che nel 1969 fece scoprire al mondo il nuovo cinema svizzero, scelto da Raphaël Dubach e Mateo Ybarra per Un viaggio nella storia del Festival

Vera e propria pietra miliare del cinema svizzero, Charles mort ou vif resta a tutti gli effetti il film che nel 1969 porta alla ribalta internazionale una nuova generazione di autori di cui Alain Tanner diventa subito una delle punte più talentuose. Soprattutto per la capacità di mettere in campo un’osservazione della realtà circostante, corroborata attraverso l’occhiale corrosivo di uno spirito critico. Doti che saltano subito all’occhio nel 1969 quando a Locarno conquista il Pardo d’oro, dando l’avvio a tutta quella serie di personaggi outsider che animeranno il nuovo corso cinematografico svizzero, assieme ai mondi lividi e stinti in cui sembrano condannati a ristagnare in un rapporto simbiotico. Come appunto in Charles mort ou vif dove più di un’aperta ribellione indotta dai venti sessantottini del periodo ci troviamo di fronte a una protesta singola che prende la forma di una rinuncia. Con la figura di un proprietario di un’azienda orologiera di Ginevra che di colpo, quasi in stile Bartleby lo scrivano di Melville, pronuncia il suo “I would prefer not to". Quel rifiuto di una vita contrassegnata da famiglia e ordine borghese che François Simon - al suo primo grande ruolo cinematografico – veste con intimo realismo. Sia nel dramma esistenziale che nel suo tentativo di riscatto borderline. A maggior ragione se il film, imbucandosi in un inevitabile triste finale, riesca comunque a trovare i rimbalzi giusti per conservare un tono, capace di dar corpo a nevrosi inespresse ma al tempo stesso senza disdegnare accenti ludici o persino umoristici. E cioè quel tono che Tanner usa come un apriscatole per scoperchiare tutte quelle ipocrisie sociali nascoste sotto il tappeto del conformismo.

Lorenzo Buccella

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