News  ·  08 | 08 | 2020

Spalle al muro

Intervista a Bojena Horackova che con il suo film Walden, prima mondiale a Locarno 2020, rilegge il passato di una gioventù lituana cresciuta al di là del muro

Con il suo nuovo film Walden lei attraversa la storia della Lituania per rivivere quel passaggio storico che c’è stato tra il prima e il dopo la caduta del comunismo. Perché era importante oggi riportare gli occhi in quel passato?
Ho iniziato a lavorare a questo film 7 anni fa. L'ho girato in piccoli pezzi e non mi sono posta la domanda sull’attualità. Il film è ambientato nel 1989. Volevo filmare questi giovani in quel momento, come se il presente nel film fosse il 1989. Puoi percepire la situazione politica, ma volevo filmare la luce, i movimenti dei corpi nello spazio, i volti, le parole, i laghi e la natura. Il contesto politico e i cambiamenti (che hanno portato alla fine del comunismo) sono presenti in ciò che loro, i giovani,  dicono al riguardo. Decidono di andare a ovest. E tutti i mezzi sono buoni per trovare la valuta, il visto. Ed è questa partenza che distrugge i loro amori e le loro amicizie. Nel film i confini sono chiusi. Sebbene questi confini tra Est e Ovest siano un passato lontano, ci sono altri confini che non possono essere attraversati. Ci sono altri ostacoli per chi vuole partire.

Lei che ha vissuto tra Occidente e Europa dell’est come giudica il ruolo che ha avuto nel cinema per raccontare queste vicinanze-lontananze?
Ho lasciato la Cecoslovacchia subito dopo gli esami di maturità e non conosco molto bene il cinema locale. Ho studiato a Parigi e ho sempre un po’ paura a tornare nel mio paese. Anche per il mio film, che si svolge nel 1989, non volevo girare nella Repubblica Ceca ma in Lituania, un paese straniero. Anche se, quando ho parlato con gli amici a Vilnius di questo periodo di cambiamento, ho scoperto che avevamo gli stessi ricordi, come se avessimo vissuto le stesse cose. Ho l'impressione che oggi quella differenza tra Europa orientale e occidentale non esista più. Nel mio film torno a quest'anno 1989, a quello che a noi poteva sembrare "un orizzonte bloccato" ma che forse era solo una paura del futuro, dell'amore: qualcosa di personale, non necessariamente legato alla situazione politica.

Dopo il passaggio al Festival, il suo film uscirà nelle sale. Che tipo di aspettative ha vista la situazione del momento?
Il film sarà proiettato al Festival, ma non sarò lì a vedere la reazione degli spettatori. Quindi Secret Screenings mi sembra una soluzione: mostrare i film in segreto, poiché il festival non si svolge nella sua forma abituale. Però mi sarebbe piaciuto essere "segretamente" in sala.

Qual è lo spazio che il cinema d’autore deve ritagliarsi in un scenario globale che ha cambiato radicalmente la fruizione cinematografica?
Ci sarà sempre la voglia di vedere un film al cinema, di andarci anche se è in una sala, solo a una certa ora. Non credo che quello cambierà. Poi ci sarà spazio per il cinema d'autore, spero.

È la domanda che facciamo a tutti: secondo lei come cambieranno il cinema e il fare cinema dopo l’esperienza della pandemia?
Dopo la pandemia, i film verranno ancora distribuiti nelle sale. E non vediamo l'ora, dopo essere stati dietro il computer a guardare film online, di vedere un film in sala, sul grande schermo. Non credo che il virus possa uccidere il cinema.

Intervista a cura del Locarno Daily

 

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