Intervista a Odgerel Odonchimed

Noi siamo il nostro cinema

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Storia, Festival e futuro. Eccolo il cinema mongolo osservato - in prospettiva - da Odgerel Odonchimed, direttrice dell’Arts Council Mongolia. Un’istituzione che osserva la società attraverso l’arte, e che proprio con l’arte punta a interagire con quella società, tracciando traiettorie, coinvolgendola attivamente, costruendo opportunità economiche e promuovendo il Paese nel mondo. «La tradizione culturale e artistica della Mongolia ha radici antichissime - racconta - e ha attraversato tutto il suo processo storico, dall’antichità alla globalizzazione. Il cinema è apparso a inizio ‘900 e ha vissuto in prima linea gli enormi cambiamenti che hanno caratterizzato gli ultimi 120 anni del Paese, giocando un ruolo significativo per lo sviluppo della scena artistica mongola».

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Il cinema riflette la storia e lo sviluppo del Paese. Con il cinema possiamo essere testimoni della mentalità sociale attuale, dei valori comuni e personali.

Può essere il ponte tra quella tradizione secolare e la realtà contemporanea?
«Deve esserlo e lo è. Il cinema riflette la storia e lo sviluppo del Paese. Io sono degli anni ’70 e i film degli anni ’50 e ’60 sono stati un punto di riferimento; li amo, così pieni di ingenuità e romanticismo. Chiaramente la generazione che girò quei film e la generazione che oggi costruisce il cinema mongolo sono estremamente diverse tra loro; quella di oggi la vedo sempre più isolata dalle vecchie tradizioni e attratta dai media e dalla tecnologia. Detto ciò ritengo che il cinema sia il mezzo ideale per educare e trasmettere la nostra storia e le nostre tradizioni, pur riflettendo le esigenze dei nuovi cineasti e parlando il loro linguaggio. Con il cinema possiamo essere testimoni della mentalità sociale attuale, dei valori comuni e personali. Per questo dovremmo lavorare sulla qualità dei nostri film; oggi la maggior parte dei film locali manca di alti valori artistici ed è rivolta meramente al profitto».

Che cosa ha portato via in termini culturali e cinematografici la dissoluzione del blocco sovietico?
«Dopo la rivoluzione del 1921 sono stati acquistati film, attrezzature cinematografiche ed è stata formata una vera e propria generazione di studenti di cinema in Unione Sovietica. L'assistenza sovietica ha fatto sì che i registi fossero ben addestrati, che le attrezzature fossero prontamente disponibili e che esistesse una solida rete di distribuzione, ma ciò è avvenuto a spese della libertà creativa. Con un sistema rigoroso che vedeva i burocrati supervisionare ogni fase del processo di realizzazione dei film, i cineasti affrontarono una battaglia in salita per far uscire i loro film. Oggi i cineasti della Mongolia hanno la libertà artistica, ma non i mezzi o il supporto per esprimere questa loro creatività. Praticamente non esistono sovvenzioni statali, il ché significa costringere i cineasti a cercare finanziamenti indipendenti, spesso provenienti da imprese private desiderose di un rapido ritorno del loro investimento. Non esiste una rete di distribuzione formale e, in mancanza di un’offera altra, il pubblico conosce meglio i blockbuster hollywoodiani che non i solidi prodotti locali, creando una domanda distorta».

Che ruolo può giocare lUBIFF nel futuro del cinema mongolo?
«L’Arts Council of Mongolia è il principale organizzatore dell'Ulaanbaatar International Film Festival, di cui quest’anno abbiamo organizzato la 12° edizione. L'UBIFF avrà un ruolo significativo nello sviluppo del cinema mongolo perché ha tutto ciò che serve per farlo crescere, al pari di altri grandi festival internazionali; come la formazione dei giovani registi, il coinvolgimento del mercato, un concorso mongolo, le proiezioni internazionali e lo sviluppo del pubblico. Ogni anno vediamo crescere la partecipazione dei cineasti locali, così come cresce il pubblico. Penso che il festival sia lo strumento più potente per riconoscere la creatività artistica e per mettere in connessione i nostri talenti e il nostro pubblico. Senza contare il suo ruolo fondamentale di piattaforme di idee, per uno scambio continuo che non può che significare crescita. E dunque futuro».

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