News  ·  23 | 01 | 2021

Cecilia la combattente

L'omaggio del direttore artistico Giona A. Nazzaro alla regista Cecilia Mangini, scomparsa a 93 anni

© Cristina Torelli

Cosa vedeva Cecilia Mangini e, soprattutto, come vedeva? Il mistero del cinema documentario è tutto nello sguardo. Che diventa una presa di posizione e una dichiarazione politica. La militanza politica di Cecilia Mangini affondava nel suo sguardo. Apparteneva a una classe di intellettuali che non faceva sconti all’Italia uscita dal dopoguerra. E non cedeva alle lusinghe delle narrazioni dominanti. A Cecilia Mangini si deve l’iniziale lavoro di riscoperta del territorio italiano, con il suo coacervo di credenze, tradizioni e superstizioni, ma anche la scoperta di un sottoproletariato strappato alle campagne ma non ammesso nelle città del cosiddetto boom economico. Ignoti alla città, appunto, proprio come il titolo del suo film.

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Il suo modo di mettere la macchina da presa in relazione con il mondo che si rivelava al suo occhio creava nuove manifestazioni di senso. Epifanie.

E se ci si prende il tempo di ripercorrere gli scontri che la Mangini ha avuto con la censura italiana, una censura partitica e ideologica, si capisce bene come la sua politica fosse soprattutto una politica dello sguardo, guardare dove altri non guardano per permettere di vedere e scoprire nuovi mondi. Cecilia Mangini attraversò tutto il secondo dopo guerra italiano da protagonista. L’agiografia della prima donna documentarista italiana rimuove le difficoltà di ieri, le racconta al passato come se fossero risolte, dimenticando così quelle di oggi, come se non esistessero. Cecilia Mangini non documentava solo perché animata da un grande spirito combattente ma soprattutto perché era incantata dalle manifestazioni della vita. Il suo modo di mettere la macchina da presa in relazione con il mondo che si rivelava al suo occhio creava nuove manifestazioni di senso. Epifanie. Era questa relazione di disponibilità, di scoperta, scevra da qualsiasi ideologia nei confronti del valore assoluto della “verità”, animata però da un rispetto totale e intransigente degli esseri umani, a fare del suo cinema un momento cruciale della cultura italiana e non solo. Per Antonio Gramsci – I giorni del carcere, del quale firma insieme a Lino Del Fra, soggetto e sceneggiatura, ottiene il Gran Premio della Giuria Ufficiale a Locarno. La grande battaglia per il film All’armi siam fascisti! (la cui avventura condivide con Del Fra e Lino Micciché), la collaborazione con Pasolini, l’attenzione alla condizione femminile raccontano di una vita che si è inventata in un costante rapporto con la macchina da presa e il desiderio di farsi sempre sorprendere. Oggi, la lezione del cinema di Cecilia Mangini vive in un manipolo di cineaste e autori che alla sua lezione ritornano periodicamente per trovare nuove motivazioni. Dunque, Cecilia Mangini non è affatto “morta” come si dice.

Giona A. Nazzaro

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