News  ·  03 | 03 | 2021

Il mio cinema: corpi, potere, Carne

Intervista a Camila Kater, artista, regista e animatrice vincitrice delle Locarno Shorts Weeks 2021

Camila Kater, Locarno 2019

Cosa significa, un anno e mezzo dopo la prima al Locarno Film Festival, vincere un concorso?
«Credo significhi che il cortometraggio risuona ancora tra le corde del pubblico. È un grande onore per me e per la mia squadra vincere questo premio. Grazie al Locarno Film Festival per questa opportunità di ri-mostrare Carne, grazie a tutti quelli che lo hanno votato, grazie alle mie produttrici Chelo Loureiro e Lívia Perez e grazie al mio meraviglioso team.»

Carne è un film potente, diretto, ma - spesso - con tonalità e tratti gentili. Racconta la storia di un'autrice forte e sicura di sé. Camila è così?
«Credo di essere diventata o di stare diventando quella persona. Carne mi ha sicuramente aiutato a trovare fiducia in me stessa, personalmente e anche professionalmente. Sono una regista trentenne, bassa e dalla voce morbida, che sembra più giovane di quello che è; ma non giudicate il libro dalla sua copertina… sono feroce!»

Carne parla di corpo, di corpi. Che rapporto hai con il tuo? Il film è dedicato al corpo, o al corpo femminile in generale?
«Il rapporto con il mio corpo è stato molto importante per creare Carne, ma il film non si occupa specificamente del mio di corpo, benché possa relazionarmi con alcune delle storie. Sono cresciuta con mia madre e mia zia che erano spesso a dieta; in casa giravano un sacco di riviste di fitness e, da quando avevo 6 anni, ero molto preoccupata per le forme del mio corpo. Credo di aver imparato molto dalle storie delle donne che ho intervistato per il film; forse non posso dire di essere totalmente a mio agio con il mio corpo, ma certamente oggi lo rispetto e ammiro di più.»

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Non definirei il mio cinema "femminile", anche se Carne lo è sicuramente. Credo che il mio cinema parli di potere. Almeno per ora.

Nella scelta delle immagini non sconti o censuri nulla. La tecnica che hai scelto ti ha aiutato in questo?
«La ragione per cui ho scelto l'animazione è stata innanzitutto quella di proteggere le intervistate, che avrebbero condiviso storie molto intime e personali. A parte questo sono un'animatrice, quindi l'animazione è il mio modo di esprimermi. Purtroppo i corpi delle donne sono coperti da tabù; noi non volevamo riprodurre la violenza e la censura che ci circondano. Dobbiamo amplificare la discussione sui nostri corpi.»

Carne parla di "forme del corpo" e lo fa con diverse "forme" del linguaggio cinematografico (immagini, plastilina, pittura...). Quale forma assume il tuo cinema? In quale ti sei sentita più a tuo agio?
«La forma nel mio cinema è dettata dal soggetto, dai temi. È quello che è successo con Carne.  Tutte le tecniche di animazione sono legate sensorialmente alle testimonianze. Dopo aver intervistato la prima protagonista, Rachel Patrício, ho deciso che il film sarebbe stato animato con cinque tecniche diverse; avrei animato il primo capitolo su un piatto, come fosse la mia tela bianca, usando pittura a olio, cibo vero e facendo una bambola spaventosa. Sono un’artigiana, amo scolpire, dipingere, disegnare e soprattutto sperimentare con diversi materiali. Mi sono trovata particolarmente a mio agio nell'animazione stop-motion del primo capitolo, dopodiché ho voluto invitare quattro meravigliosi animatori a unirsi a me e a lavorare sui capitoli successivi: Giovana Affonso (acquerello), Flávia Godoy (2d digitale), Cassandra Reis (argilla naturale) e Leila Monsegur (pittura e graffi su pellicola 35mm).»

Il tuo cinema è donna? Lo vivi come un'espressione di appartenenza?
«No, non definirei il mio cinema come femminile, anche se Carne lo è sicuramente. Mi piace molto raccontare storie che si riferiscano alle mie esperienze, ma non tutte si limitano alla mia identità di genere. Credo che il mio cinema parli di potere. Almeno per ora.»

Camila Kater con le produttrici  Chelo Loureiro e Lívia Perez, e due rappresentati della Giuria dei giovani, Locarno 2019 Camila Kater con le produttrici Chelo Loureiro e Lívia Perez, e due rappresentati della Giuria dei giovani, Locarno 2019

C'è qualcosa che il cinema non può o non deve mostrare? C'è un velo oltre il quale non deve osare?
«Penso che il cinema sia una meravigliosa espressione artistica, ma anche uno strumento molto potente, spesso nelle mani di uomini ricchi, bianchi, etero e cisgender. Penso che fare un film richieda molta responsabilità. In Carne, per esempio, avevamo a che fare con storie vere e donne vere, argomenti difficili su esperienze personali e intersezionali. Avevamo la grande responsabilità di rappresentare attentamente le loro storie in modo rispettoso.»

Come ricordi la tua esperienza a Locarno? Cosa ricordi della prima proiezione di Carne?
«I miei giorni a Locarno sono stati meravigliosi! Guardare grandi film in Piazza Grande, e alla Sala; nuotare in quel perfetto lago blu e vedere Carne per la prima volta sul grande schermo… era come un sogno! Non dimenticherò mai quanto sia stata intensa la reazione dell'enorme pubblico durante la prima proiezione del film.»

A quale progetto stai lavorando ora?
«Sto sviluppando la serie antologica di Carne e due cortometraggi con Chelo Loureiro. Nella serie Carne ci stiamo avvicinando a più temi legati al corpo delle donne su scala internazionale e multiculturale, con interviste e artisti provenienti da Brasile, Spagna, Palestina, Nigeria e Cina. Voglio lavorare ancora con diverse tecniche di animazione e con donne animatrici, esplorando associazioni sensoriali tra le testimonianze e la forma plastica dell'animazione. Il primo cortometraggio a cui sto lavorando invece è un adattamento in stop-motion di un libro spagnolo per bambini chiamato Yo Voy Conmigo, sull'accettazione di sé. Il secondo è una commedia musicale animata che dirigerò insieme a Samuel Mariani, legata alle mie esperienze di studio in una scuola cattolica quando ero una bambina la cui più grande paura era Gesù.»

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