News  ·  10 | 08 | 2021

Rastorhuev

Evgeniya Ostanina | Histoire(s) du cinéma

Il ritratto di un artista, ma anche il ritratto dell’artista.

Evgeniya Ostanina, che di Aleksandr Rastorhuev è stata collaboratrice e compagna, ricostruisce in Rastorhuev un profilo del cineasta, ucciso nel 2018 con la sua squadra mentre girava un documentario sulle attività dei mercenari privati russi nella Repubblica Centrafricana.

Non una biografia del documentarista critico nei confronti di Putin, ma una dichiarazione della sua poetica, catturata con un montaggio calibratissimo di video privati, estratti di opere, making of e interviste televisive, il tutto unito in un insieme tanto compatto che la mano della regista scompare: in primo piano resta solo Rastorhuev, e l’impressione è quasi che sia lui l’autore del film che lo commemora.

Nel cuore dell’opera, la questione del giusto: c’è l’attore che accusa Aleksandr Rastorhuev di sadismo per voler rimettere in scena un omicidio e mostrare il video alle persone coinvolte; c’è la giornalista che gli chiede cos’ha sentito nel filmare un animale maltrattato («Ho sentito che il film stava venendo bene… Il mio lavoro è dire quello che vedo»). Ma soprattutto c’è Rastorhuev che interroga sé stesso e i colleghi su come sia giusto fare cinema. Come nella sequenza finale, dove la sua visione si delinea in negativo rispetto alla critica appassionata, fatta al tavolo di cucina, della prima versione del documentario Kiev/Moscow, a cui collaborò insieme a Ostanina (la prima parte del film avrebbe poi vinto una menzione speciale a Locarno nel 2015).

Un autore, dice, deve capire cosa significa veramente la storia del personaggio che ha scelto e non temere di allargare lo sguardo per raccontare, attraverso di lui, un intero paese o un’intera epoca: «Non si racconta davvero una persona se non ci si pone un grande obiettivo, un obiettivo smisurato».

Sara Groisman

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