Com’è nato il progetto de Il mostro della cripta, diretto da Daniele Misischia e prodotto da lei, insieme a suo fratello Marco?

Vari anni ha abbiamo scritto la sceneggiatura, insieme ad Alessandro Pondi e Paolo Logli. Doveva far parte di un progetto di Lamberto Bava, che prevedeva una serie di film, una sorta di Masters of Horror italiano. È rimasta poi chiusa nel cassetto, fino a quando ci siamo messi a pensare a un nuovo film per Daniele Misischia, dopo aver prodotto The End? L’inferno fuori. Ci piaceva ancora molto e gliel’abbiamo fatta leggere. L’ha molto amata e ha voluto dirigerla.

Nel film, ci sono molti ingredienti classici dell’immaginario horror e dei Manetti Bros.

La sceneggiatura è rimasta quella, è stata solo adattata un po’. Abbiamo deciso insieme di spostare l’ambientazione negli anni Ottanta, una scelta che ha giovato secondo noi a Il mostro della cripta. È molto divertente, con una chiave comica mischiata a un horror vero, una dinamica tipica del cinema di quegli anni, quello con cui siamo cresciuti. Non è invecchiato, ci divertiamo a giocare con un mondo che per fortuna è ancora mitico, anzi, sta anche tornando di moda.

Qual è la più grande qualità di Daniele Misischia?

Ha gli stessi nostri riferimenti, dal cinema alla letteratura, dalla musica ai videogiochi. Ci capiamo al volo, la cosa aiuta la collaborazione. È un vero regista dentro, respira cinema con grande passione e quindi sta male se non gira. Quando fa un film ci mette l’anima.

Voi Manetti Bros. siete dei veri ambasciatori italiani del genere. Pensa ci sia un sincero ritorno negli ultimi anni di questo tipo di cinema?

Noi facciamo le cose che ci piacciono. Un film deve mettere al centro la fantasia e purtroppo in Italia si sono fatti per molto tempo, diciamo fra gli anni ottanta e duemila, praticamente solo biografie o film sociali, salvo rare eccezioni come le commedie. Noi pensiamo che il cinema debba far sognare mondi diversi, avventure che non puoi vivere nella vita. È questo il senso dell’arte e del cinema, prima di tutto, altro che serie B. In Italia, effettivamente, molto sta cambiando, ce ne accordiamo anche a nostro vantaggio. Qualche anno fa non si sarebbe investito tanto in un progetto di fantasia totale come Diabolik. C’è un movimento nuovo, di cui facciamo parte noi, ma anche registi come Gabriele Mainetti o Sydney Sibilia. Non sono coinvolti solo gli autori, ma anche i produttori e distributori, che si sono accorti come si possa trovare un pubblico. Prima nessuna ci credeva, per cui i film venivano male e venivano utilizzati come conferma del fatto che non si potesse fare cinema di fantasia in Italia.

C’è molta attesa per Diabolik. Il rallentamento nella distribuzione del film ha creato una specie di eterna vigilia. Come la state vivendo?

Stiamo soffrendo molto. Chiaramente facciamo il cinema per far vedere i nostri film. Avere Diabolik bloccato da così tanto è una grande fatica, anche se è una scelta condivisa, per aspettare la sala. Ci stiamo avvicinando, però, visto che dovrebbe uscire il 16 dicembre, pandemia permettendo. Ce l’abbiamo quasi fatta e non vediamo veramente l’ora.

Intervista a cura di Mauro Donzelli

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