News  ·  06 | 08 | 2021

Intervista a Hleb Papou

Il legionario | Concorso Cineasti del presente

Hleb Papou, nel 2017 ha diretto un cortometraggio intitolato Il legionario e poi ha deciso di lavorarci di nuovo per creare il suo primo lungometraggio. Perché questa scelta?

Mentre ero ancora studente del Centro sperimentale di cinematografia di Roma, nel 2015, è nata l’idea de Il legionario. Era l’epoca in cui in Italia si discuteva dello ius soli, il progetto di legge, poi affossato, che avrebbe consentito l'acquisizione della cittadinanza italiana ai nati sul territorio italiano a prescindere dalla cittadinanza dei genitori. Questo cortometraggio ha avuto una buona accoglienza in diversi festival internazionali e mi ha permesso di trovare i fondi per girare il mio primo lungometraggio.

Quali sono gli elementi di novità del lungometraggio?

Nel cortometraggio ci siamo concentrati soprattutto sugli ambienti della polizia. Nel lungometraggio abbiamo potuto dedicare molto più spazio all’ambiente dell’occupazione. In generale, come ovvio, abbiamo potuto sviluppare meglio la narrazione e i personaggi e siamo riusciti a dare più respiro alla narrazione.

La rappresentazione del corpo di polizia appare molto convincente e realistica: avete svolto ricerche specifiche nell’ambiente?

Sì, siamo entrati nel mondo della Celere, abbiamo conosciuto i poliziotti, ne abbiamo studiato le dinamiche; ho persino introdotto gli attori nell’ambiente. Quando abbiamo scritto i personaggi che lavorano in polizia abbiamo cercato di essere onesti, cercando di evitare rappresentazioni stereotipate o tesi precostituite.

Anche le case occupate di Roma sono una realtà intrigante e non molto conosciuta…

Si parla delle case occupate di Roma soltanto nel momento in cui avviene uno sgombero. Questo mondo, che ha una lunga tradizione, è piuttosto complesso. Ci sono molti contesti differenti tra loro. In queste case vivono sia italiani, sia persone con origini migratorie. Persone che votano a destra e persone di sinistra. Per girare questo film ho vissuto una settimana in una casa occupata. Non è un ambiente facile, non è confortevole viverci, e si è a contatto con storie difficili, a volte molto tristi. Inoltre, come cerco di mostrare nel mio film, ci sono regole molto ferree che vanno assolutamente rispettate.

I conflitti rappresentati nel film all’interno della casa sono molto marcati, ma non sembra esserci spazio per il razzismo. È così?

Nella casa hanno ben altro per la testa. Chi vive lì ha scelto di concentrarsi sui problemi reali e non ha tempo per distrarsi con questioni razziste o xenofobe ridicole. Italiani e stranieri delle case occupate vivono una condizione che li accomuna, hanno esistenze precarie e sanno che da un momento all’altro potrebbero ritrovarsi senza un tetto sopra la testa.

Intervista di Mattia Lento

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