News  ·  01 | 03 | 2022

Il mio Locarno, dove tutto è possibile

Vito Manolo Roma, disegnatore classe 1982 di Milano, racconta come è nata l’immagine con cui ha tracciato le linee di Locarno75. Tra una mostra surrealista, l’amore per gli anni Sessanta e la voglia di spalancare nuovi immaginari

Un’illustrazione nata negli anni Venti e innamorata degli anni Sessanta del secolo scorso, rivolta però a un tempo in cui tutto è possibile. Da oggi Locarno75 ha un volto con il profilo della tradizione e uno sguardo indubbiamente nuovo. L’illustrazione con cui Vito Manolo Roma ha conquistato la giuria del contest per dare un'immagine all'edizione 2022 del Locarno Film Festival racconta in un’unica tavola gli infiniti piani del cinema. «Per tutta la durata del contest ho lavorato su un concetto — racconta Roma, classe 1982, a cui forse la definizione che calza meglio è quella di disegnatore — poi 48 ore prima della consegna ho cambiato tutto, ho messo da parte l’idea originaria e iniziato a lavorare a questa, che poi avrebbe vinto». 

Una svolta decisiva, dovuta a cosa?
«A una mostra e al mio stile. Stavo tornando a Milano da Torino, dove avevo visto una mostra sul surrealismo italiano; è lì che qualcosa è scattato e mi ha fatto cambiare, decidendo di lavorare a qualcosa che fosse molto più “mio”, collegabile al mio stile. Ovvero questa immagine, che sento profondamente mia, meno vincolata alle logiche di una “commissione”. Apprezzo moltissimo che il Festival l’abbia stimata e ancor di più rispettata quando è stato il momento di discuterne la sua applicazione operativa. Sinceramente non mi ero fatto aspettative, avevo voluto domarle; quando poi ho letto che erano arrivate oltre mille proposte quelle poche che avevo sono sparite. E invece…». 

È un’immagine completamente nuova rispetto agli ultimi decenni di manifesti a Locarno, farà discutere. 
«Prima di partecipare ho studiato la galleria dei manifesti della storia del Festival e di fronte a tutta quella grafica e tipografia ho deciso di lavorare sull’illustrazione. Se farà discutere sarò interessato a capire come. Sicuramente un manifesto d’autore, se lo possiamo definire così, è un qualcosa che porta prestigio a chi ha il coraggio di farsene carico. Può essere una bella storia, forse un attimo fuori dagli schermi del classico manifesto festivaliero cinematografico».

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È un paesaggio surreale, in cui tutto è possibile. Esattamente come al cinema.

Come lo racconteresti al pubblico?
«Il bello dell’illustrazione è che spalanca le porte all’immaginazione. Con la mia ho voluto mettere il pardo, che si toglie il cappello per dare il benvenuto al pubblico e aprire idealmente il Festival, ma anche il pardino. Poi le icone della Piazza Grande, la cabina con il suo fascio di luce e lo schermo. E l’occhio, che è regista, è spettatore, è cinema. La lacrima uscendo genera un’illusione ottica, spezza le linee e collabora a generare questo paesaggio che ho voluto montare in un’atmosfera surreale, in cui tutto è possibile. Esattamente come al cinema». 

Che rapporto hai con il cinema? 
«Non sono un cinefilo, non conosco molto e soprattutto non arrivo mai al contemporaneo; resto sempre nel passato, scoprendo film del secolo scorso senza mai concedermi alle novità. Al liceo rimasi colpito dalla cinematografia surrealista e espressionista e credo che la mia immagine ne sia influenzata. Guardate ad esempio le ombre… In generale poi sono folgorato dagli anni Cinquanta e Sessanta. Un’epoca in cui si è fatto tutto quello che si poteva fare, in grado in un certo senso di creare l’eternità, immagini e immaginari che non invecchiano mai. Credo sia stato un momento creativo alimentato dal mix perfetto di passione, competenza, rispetto, mezzi e libertà. E io ci torno continuamente, sfogliando, guardando e riguardando l’archivio che negli anni ho messo insieme». 

Mai stato a Locarno?
«Mai. Sarò davvero felice di farlo quest’anno, in un modo così strano: sarà la prima volta e mi vedrò affisso ovunque. Sarà una doppia prima volta, perché non mi è mai successo di vedere un mio lavoro ovunque». 

Potessi scegliere un film da vedere in Piazza Grande?
«Pickpocket di Bresson (mostrato a Locarno nel 1983 grazie alla carte blanche offerta a Alain Tanner, ndr)». 

Cos’è un manifesto?
«Un formato di rappresentazione dentro cui devono convivere elementi precisi, tipografia e illustrazione, che insieme devono creare l’immaginario riassuntivo di un universo. Poi però deve andare oltre. Deve riuscire ad attaccarsi ai ricettori di chi lo guarda e rimanere là, iniziando a costruire altri immaginari». 

Eccolo, il Locarno Film Festival.

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