News  ·  04 | 08 | 2022

My Neighbor Adolf

Leon Prudovsky | Piazza Grande

©2-Team-Productions_Luis-Cano

Uno steccato di legno segnato dal tempo. Un confine che divide due villette decadenti nella campagna colombiana del 1960, ma anche due universi contrapposti: quello delle vittime e quello dei carnefici. Da una parte un burbero e solitario anziano ebreo polacco, sopravvissuto alla Shoah al contrario della sua famiglia. Dall’altra un tedesco appena trasferito, che secondo il primo non è altro che Hitler in persona. Lo riconosce dagli occhi, dallo sguardo di ghiaccio che aveva incrociato decenni prima a Berlino. Siamo nei giorni in cui in Argentina il Mossad rapì Eichmann per processarlo in Israele.

Un’indagine portata avanti con ogni energia per dimostrare la sua stramba teoria con delle prove oggettive diventa da quel momento l’unico scopo della sua vita di ogni giorno. Ovviamente nessuno gli crede, neanche al consolato israeliano. Cerca di interagire con il nuovo arrivato per ottenere la conferma dei suoi sospetti, ma come avvicinarsi al male assoluto? Gli iniziali scambi pieni di tensione si sciolgono nella condivisione dell’amore per gli scacchi. I due sembrano avventurarsi sull’orlo di un’amicizia, un baratro morale rappresentato per il protagonista dal rischio di individuare un briciolo di umanità nel suo peggior nemico, che sia Hitler o il popolo tedesco.

Quello messo in scena dall’israeliano Leon Prudovsky è un universo sospeso nel tentativo del superamento impossibile della ferita insanabile per eccellenza del Novecento: la Shoah. Un universo in cui il passato remoto, il ricordo di chi c’era e ora non c’è più, è l’unico elemento vitale che permette al protagonista di affrontare il presente, magari grazie a consigli di famiglia come sbriciolare dei gusci d’uovo per far fiorire con il massimo splendore delle rare rose nere. Gli strumenti utilizzati in My Neighbor Adolf sono quelli nobili della tradizione yiddish: dolore e ridicolo, assurdo e grottesco, con barlumi di inusitata dolcezza, come una chiacchierata notturna fra i due vicini amici/nemici, in cui la condivisione passa per il sapore proustiano di un cetriolo sottaceto, capace di rievocare una vicinanza culturale e quotidiana. Un equilibrio delicato mantenuto anche grazie alla maestria di due interpreti in stato di grazia come Udo Kier e lo scozzese David Hayman, che torna a interpretare un ebreo passato per i campi di sterminio dopo Il bambino con il pigiama a righe (2008).

Mauro Donzelli

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