News  ·  08 | 08 | 2022

Intervista a Delphine Lehericey

Last Dance | Piazza Grande

Last Dance racconta di una coppia in cui il tempo passa, implacabile, ma il loro amore resta. 

Volevo raccontare una storia sull’elaborazione del lutto leggera e divertente. Il cuore del film doveva essere il movimento. Venendo dallo spettacolo dal vivo, ho sentito il bisogno di raccontare quello che avevo vissuto attraverso la danza contemporanea, che permette un utilizzo del corpo molto democratico. È come nel film Ratatouille (2007), in cui si dice che tutti possono cucinare: la danza contemporanea permette a tutti di salire sul palco. Il protagonista, François Berléand, è un po’ il mio piccolo topo. Mi sono immaginata una persona anziana che all’inizio del film fosse limitata nei movimenti, liberata poi in maniera sorprendente quando si mette a ballare. 

La Ribot è la coreografa dello spettacolo, oltre che interprete di sé stessa nel film. 

Con lei abbiamo fatto un lavoro di ricerca di brani del suo repertorio che fossero adatti alle dinamiche del personaggio. Momenti che sfociassero nell’assurdità ma fossero anche molto seri, in una oscillazione fra due estremi tipica della danza contemporanea, che può essere molto intellettuale ma anche davvero divertente. Il senso dell’umorismo è poi ben presente nel lavoro de La Ribot, tanto da renderla particolare fra i suoi colleghi. Mi piace particolarmente il fatto che abbia una decisa personalità pur essendo spassosa. Trovo inoltre sia una brava attrice. Nelle sue coreografie parte sempre dalle caratteristiche specifiche di ogni membro della sua compagnia, composta da persone molto diverse per fisico e per età. È sempre alla ricerca di questa varietà che arricchisce i suoi spettacoli. 

Come ha lavorato con il protagonista, François Berléand? 

Sono davvero contenta del piacere con cui ha donato cuore al personaggio, con grande generosità. Penso che quello che abbia funzionato molto bene nell’incontro fra i ballerini e la macchina del cinema sia il fatto che tutti avevano molta voglia di incontrarsi e costruire insieme una sorta di troupe gigante nel corso delle riprese. 

La famiglia soffoca il povero vedovo, che cerca complicità altrove. 

Il cinema non lo fai da sola, è un’avventura collettiva. Il teatro poi è una famiglia, grazie alla complicità regala delle emozioni. Trovavo bello raccontare come improvvisamente la sua famiglia di sangue gli pesi e riceva invece qualcosa d’altro e inatteso da una nuova famiglia. È un regalo prezioso che l’arte può donare. È nella relazione con gli altri che si cambia e si diventa migliori, un po’ quello che succede a Germain. 

Mauro Donzelli

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