News  ·  13 | 09 | 2022

Jean-Luc Godard, notre musique

Il direttore artistico Giona A. Nazzaro omaggia il grande autore e gigante della storia del cinema Jean-Luc Godard, Pardo d'onore 1995

Jean-Luc Godard, Locarno 1995

"Considerato che i nostri sogni si sommano il più delle volte come una serie di zero, bisogna dire che le immagini del totale non hanno nulla a che vedere con la totalità delle immagini".
(da Ici et ailleurs)

Non ci si salva, salvando il mondo. È un errore
(da Passion)

“Metteur en scene è troppo lungo. Autore mi sembra più valido”.
(JLG)

Nel volume che Piero Spila ha dedicato a Jean-Marie Straub e Danièlle Huillet, l’autore pone la seguente domanda.

[...] Pensa che alcuni cineasti siano riusciti a instaurare fra loro e il pubblico quel dialogo che difetta al romanziere? In caso affermativo, quali ragioni dà di questo fenomeno?

Risposta di Jean-Marie Straub.: "Sì, Godard senza dubbio. Perché il privilegio del cinematografo è di potere, come dice lui, fare la spola tra la vita e l’arte, il sogno e la realtà, la realtà e la finzione, la poesia e la prosa, e perché quello lì, Godard, la fa meglio e più spesso la spola. Hitchcock anche (benché la cosa non vada affatto fino al livello dei dialoghi), e Bresson senza dubbio... E si potrebbe senza dubbio citare alcuni giovani cineasti oltre a Godard, se tutti i film nascessero, come tutti i romanzi, liberi e uguali di diritto – invece di essere consegnati (ahimé! perfino nei paesi dell’Europa orientale) a un sistema di oppressione capitalistico, spesso appoggiato dalla stampa".*

Questa qualità, che Straub definisce con tanta precisione, mi pare di ritrovarla nel finale di Prenom Carmen, film che a Venezia vince il Leone d’oro assegnato da una giuria capitanata da Bernardo Bertolucci. Un modo per ricucire uno strappo, personale, ricongiungere due storie. Forse. Eccolo il finale di Prenom Carmen.

Carmen che crolla tra le braccia del cameriere. Sta per morire. Chiede come si dice quando tutti i colpevoli agonizzano da una parte e gli innocenti dall’altra. Il cameriere dice che non lo sa. In un ultimo sussulto, Carmen inveisce contro di lui. Gli dice di fare il suo lavoro: cerchi imbecille, è necessario, come si dice. Il cameriere dice: cerco, signorina, cerco. E con gli occhi cerca intorno a sé. Lo si sente che dice: come si dice, come si dice. Si sentono gli ultimi movimenti del rondò alla polacca di Beethoven mischiati alla voce di Joseph che grida: Carmen, Carmen. La testa di Carmen si fa più pesante tra le braccia del giovane cameriere dalla bella voce che guarda gli ultimi bagliori del giorno attraverso l’invetriata. Dice: credo che si dica l’aurora, signorina.**

Jean-Luc Godard è stato tutto ciò che il cinema avrebbe potuto essere. Ovviamente malcompreso e poco amato, soprattutto quando il suo cinema diventa ancora più libero e audace con il periodo Dziga Vertov e il lavoro video. Lo si opponeva arbitrariamente, ottusamente al suo amico fraterno Truffaut, come a volere indicare che Godard aveva tradito il cinema senza capire che il suo lavoro era (è) ancorato profondamente a una conoscenza e una pratica del cinema che della eccezione aveva fatto la sua libertà. Nel magnifico Je vous salue Sarajevo, Godard lo dichiara così.

"En un sens, voyez-vous, la peur est quand même la fille de Dieu. Rachetée la nuit du vendredi saint, elle n'est pas belle à voir non, tantôt raillée, tantôt maudite, renoncée par tous. Et cependant ne vous y tromper pas, elle est au chevet de chaque agonie. Elle intercède pour l'homme car il y a la règle et il y a l'exception. Il y a la culture qui est de la règle. Il y a l’exception qui est de l’art. Tous disent la règle : cigarette, ordinateur, t-shirt, télévision, tourisme guerre. Personne en dit l'exception. Cela ne se dit pas, cela s'écrit : Flaubert, Dostoïevski ; cela se compose : Gershwin, Mozart ; cela se peint : Cezanne Vermeer ; cela s'enregistre : Antonioni, Vigo ou cela se vit et c'est alors l'art de vivre : Sbrenica, Mostar, Sarajevo. Il est de la règle de vouloir la mort de l'exception. Il sera donc de la règle de l'Europe de la culture d'organiser la mort de l'art de vivre qui fleurit encore à nos pieds. Quand il faudra fermer le livre, ce sera sans regretter rien : j'ai vu tant de gens si mal vivre, et tant de gens, mourir si bien." ***

Come Rossellini, Godard ha reso possibile il cinema. Lo ha liberato. Ha sempre mostrato, raccontato come si può continuare a fare. Probabilmente ci vorranno decenni per porre in prospettiva la straordinaria pedagogia del vedere godardiana. D’altronde chi altri avrebbe osato affermare "bisogna impare a vedere non a leggere?" E non è un caso che il suo ultimo grande film sia una diretta Instagram, organizzata da Lionel Baier, durante la quale ha letteralmente rovesciato l’idea stessa di “social media”. Tutto il mondo è in quarantena, e Godard apre le porte di casa sua. Quelle stesse che aveva rifiutato di aprire a Marcel Ophüls et a Agnes Varda facendole trovare la struggente nota: “A la Ville de Douernenay du Côté de la Côte” (che rimanda ad altre storie del cinema…)

“Noi siamo pronti. Lei è pronto?”
“Sono sempre pronto”, l’inevitabile risposta.

Chi altri avrebbe potuto fare entrare una diretta Instagram nella storia del cinema?

Fedele all’insegnamento di Meister Eckhart (Solo chi cancella può scrivere) Godard ha lavorato come Lacan “che creava delle immagini con le sue parole”. Mentre tutto il mondo è in quarantena, Godard cancella decenni di esilio permettendo a una “troupe” di entrare in casa a sua a Rolle.

Ciò che oggi mi torna alla memoria, è sempre il suo desiderio di avere una conversazione, di creare delle possibilità di dialogo. Godard faceva domande. Spiazzava con le sue domande, ma era il primo, sempre, a contrastare il culto del cinema e il suo personale.

Prima che s’esprima qualcosa, si hanno impressioni. Si è stati lavorati. Qualcosa deve essere entrato dentro, se si vuole che qualcos’altro venga fuori. Si lavora su sé stessi come prodotto di una lavorazione per diventare un lavoratore dell’espressione. E per fare ciò bisogna riconoscere ciò che ci è entrato dentro. Altrimenti non nascono né libri, né film. Nemmeno un sorriso”.

Per pensare dunque al lavoro di Godard è utile ricordare quanto scriveva Frieda Grafe: “I montaggi suono/immagine di Godard sono un’unica contraddizione nei confronti di ogni possibile sintesi. Si manifestano come non conciliati e, lasciando l’accidentale in posizione sovrana, pongono sottosopra la dialettica”.
E chi altri avrebbe potuto dire, con tanta efficacia poetica, che “con Roma città aperta l’Italia ha riconquistato il diritto come nazione di guardarsi in faccia” e, contemporaneamente, chiedersi come fosse possibile il miracolo del neorealismo, considerato che i cineasti italiani separavano il suono dalle immagini?

D’altronde l’operaia interpretata da Isabelle Huppert in Passion afferma, “In fondo il lavoro è come il piacere”, e riflette perché sia vietato filmare le fabbriche. “Si tratta degli stessi gesti dell’amore. Non necessariamente la medesima velocità, ma gli stessi gesti”. Un autoritratto godardiano, quasi.

E, infine, per rispondere a quanti hanno rimproverato a JLG di avere sempre fatto film difficili, si potrebbe rispondere sempre con parole che si trovano in Passion. “Forse non è utile comprendere. Basterebbe prendere”.

Giona A. Nazzaro


* Piero Spila (a cura di), Il cinema di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet, Bulzoni Editore, Roma, 2001, pag. 281

** Prénom Carmen, Pressbook, 1982

*** Frieda Grafe, Wessen Geschichte – Jean-Luc Godard zwischen den Medien, in Astrid Ofner (a cura di), Jean-Luc Godard, Retrospektive der Viennale 1998, p. 78

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