News  ·  08 | 09 | 2022

Kobayashi Masahiro, cinema ad altezza di sentimenti

Kobayashi Masahiro non veniva quasi mai citato fra i grandi registi nipponici contemporanei. A cosa fosse dovuta questa carenza di attenzione nei confronti di un autore il cui lavoro ha sempre saputo conservare un’altissima e solidissima qualità, è arduo stabilire.

Ha iniziato ad affermarsi nella seconda metà degli anni Novanta, e con la sua presenza ha attraversato i primi anni Duemila. Kaizokuban Bootleg Film (1999) e  Aruku, hito (Man Walking on Snow , 2001) vengono presentati nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes, mentre Koroshi (Film Noir) debutta alla Quinzaine des Réalisateurs (2000).

Il suo stile, evidente soprattutto in Man Walking on Snow, era concentrato nel trarre dai personaggi gli elementi che permettevano loro di intrecciarsi con gli ambienti e il paesaggio. L’esterno diventava così immagine dell’interiorità.

Non seguiva mode, Kobayashi Masahiro. Faceva i suoi film con l’attenzione e la precisione di un artigiano del cinema e la cifra autoriale inevitabilmente scaturiva dallo sguardo e dai tempi con i quali cesellava le sue immagini e racconti. Eppure, sapeva come guardare dritto negli occhi delle contraddizioni del Giappone contemporaneo. Prova ne è l’eccellente Bashing, presentato in Concorso a Cannes nel 2005.

Al Locarno Film Festival Kobayashi Masahiro giunge per la 60a edizione nel 2007 con Ai no yokan (The Rebirth), un film complesso e ambizioso, decisamente radicale, incentrato su due persone e i loro problemi di comunicazione. Il regista, che interpreta anche il film, non fa molto (apparentemente) per permettere al pubblico di entrare nella sua opera se non, cosa fondamentale, offrirgli tutto il tempo possibile per riscattare lo spazio necessario affinché lo spettatore abiti progressivamente il suo film. Ossia compie un gesto di rispetto fondamentale nei confronti dello spettatore e ne verifica le premesse formalmente.

Un’opera importante e compiuta che ottiene, meritatamente, il Pardo d’oro da parte della giuria composta da Walter Carvalho, Saverio Costanzo, Irène Jacob, Romuald Karmakar, JIA Zhang-Ke e Bruno Todeschini. A Locarno ci ritorna subito l’anno seguente, nel 2008, questa volta nei panni di giurato per il Concorso internazionale, insieme a Rachida Brakni, Liron Levo, Bertha Navarro, Goran Paskaljevic e Paolo Sorrentino. Successivamente Kobayashi Masahiro sviluppa una forte complicità con il leggendario Tatsuya Nakadai con il quale realizza sia  Haru tono tabi (Haru’s Journey, 2010) che il commovente e severo Umibe no Ria (Lear on a Shore, 2016) che risulta oggi essere il suo testamento.

Fumatore accanito, forte bevitore, non ha mai voluto smettere nessuna delle sue poche salubri abitudini. E sul suo rapporto con le sigarette si raccontano ancora oggi aneddoti molto gustosi. Ci lascia presto, purtroppo, Kobayashi Masahiro. Siamo convinti, però, che i suoi film continueranno a dialogare con le generazioni future come solo il cinema veramente necessario sa fare.

Giona A. Nazzaro

Sostieni ora il Locarno Film Festival con una donazione