Akhdar yabes (Withered Green)
Concorso Cineasti del presente
Un verde appassito. Il titolo del sorprendente debutto di Mohammed Hammad sposta subito l’attenzione dalla narrazione allo spazio architettonico e psicologico vissuto e attraversato dai corpi protagonisti del racconto. Stretta fra la rigida struttura delle tradizioni legate al percorso matrimoniale e il suo inesorabile, per quanto inatteso e precoce, decadimento procreativo, è come se Iman rilasciasse con violenza tutta l’energia trattenuta per anni sul mondo circostante. Si stende così un velo grigio, quasi nero, un verde cupo umido e pastoso, che si diffondono e inventano la geometria claustrofobica che corre parallela agli eventi. Da un lato la città, dura e brulicante, che Iman attraversa tutti i giorni per andare al lavoro, per fare i necessari esami medici e andare in visita ai familiari che dovrebbero soccorrerla. Dall’altro la casa, bruscamente condivisa con la giovane sorella promessa in sposa e che Iman cerca di aiutare nei preparativi del matrimonio. Dettagli, ombre, angolazioni. Il corpo c’è, resiste, ma continuamente oppresso e frenato. Diventa un corpo separato da sé, dimenticato nel doppio fondo di uno specchio vuoto. Le stanze sembrano chiudersi su se stesse, quasi a mimare un’intera società che serra il cuore e le speranze. Tuttavia emerge l’orgoglio femminile, la battaglia silenziosa e determinata di una donna che guarda in faccia coraggiosamente i propri sogni infranti. La regia è come un altro assedio, stringe, accerchia, espone i fatti fino a una sorta di implosione, di affondo nel nero. Fino al risveglio però, altrettanto solitario e, infine, rosso sangue.
Lorenzo EspositoCondividi: