News  ·  01 | 08 | 2018

Metal sacrale

Jeannette, l’enfance de Jeanne d’Arc - Histoire(s) du cinéma

«1425. In piena estate». Le parole che già aprivano Le Mystère de la charité de Jeanne d’Arc, sorta di sacra rappresentazione scritta da Charles Péguy all’inizio del Novecento, sono anche il principio di Jeannette, l’enfance de Jeanne d’Arc, pellegrinaggio di Bruno Dumont (Pardo d’onore Manor 2018) sulle tracce della santa guerriera, colta tra infanzia e adolescenza. Proprio come in una sacra rappresentazione, anche il film accosta il canto a dialoghi che si fanno preghiera; non ci si aspetti però una litania religiosa: a sorpresa, nell’incantato pascolo verde-azzurro di Jeannette irrompono sonorità metal che spezzano i belati delle pecore, con la santa bambina che si abbandona a un headbanging dalle sfumature sacrali.

Eppure, paradossalmente, il film mantiene la fervente semplicità dell’opera di Péguy: si sottrae con decisione al linguaggio dei musical, preferendogli inquadrature statiche e fisse a incorniciare gli attori che s’improvvisano cantanti e ballerini. L’effetto ha l’aura naïve di un ex voto popolare, sincero perché privo di sofisticherie; e proprio una radicale sincerità è ciò che Dumont persegue, quasi in risposta al continuo interrogarsi dei personaggi su verità e menzogna. Ecco allora che le stecche non vengono celate, che gli sguardi in camera non sono evitati ma incoraggiati. Unica concessione a un’idealizzazione: i celesti e i verdi purissimi di un paesaggio che è tutto cielo e boscaglia, fatti dialogare da inquadrature che talvolta guardano la terra dall’alto, talvolta si volgono al cielo.

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