News  ·  04 | 08 | 2018

Grottesco extraterrestre

Coincoin et les Z’inhumains - Piazza Grande

Per quanti non abbiano visto P’tit Quinquin, la scoperta dell’universo creato da Bruno Dumont risulta al tempo stesso spiazzante e irresistibile. Si fatica a capire la parlata dei personaggi, e ci vuole uno sforzo ancora maggiore per accettare il fatto che ogni logica sarà bandita da questo mondo che più estremizza il grottesco meglio arriva a specchiarsi nel presente.

Fin dal titolo, la continuazione della serie tv dimostra che il regista francese non ha perso la sua verve. Non esita, infatti, a contravvenire a una delle regole delle serie, cambiando il nome al suo protagonista. Quinquin diventa Coincoin, perché con il tempo la pronuncia si è storpiata. Al posto del motorino ha una macchina con cui solca, senza patente, le terre piatte nel Nord dove piovono grosse macchie liquide. È questo il mistero affidato al commissario Van der Weyden, sempre più preda dei tic e delle imprecazioni, e al fido Carpentier.

La scelta di calcare con più forza il genere, strizzando l’occhio alla fantascienza e ai b-movie americani, dà un twist diverso alla storia: il tema degli extraterrestri finisce, infatti, per sovrapporsi a un paesaggio umano dove i piccoli comitati provinciali della destra nazionalista sembrano indifferenti agli immigrati in attesa di passare la Manica. Il tono surreale che il racconto sviluppa consente di bypassare il giudizio morale; di fronte ad un mondo che ha perso il suo equilibrio, può capitare che siano proprio gli stranieri a dare un senso nuovo alla realtà. Questi, nei loro vagabondaggi per la campagna, portano strane maschere. Come se fosse un eterno carnevale, nel piccolo mondo di Coincoin ogni follia è concessa tanto che alla fine, seguendo questo principio di sospensione della realtà, è possibile che tutti, gli inumani e gli immigrati, i veri personaggi e le comparse, si ritrovino in una parata dal sapore felliniano.

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