News  ·  08 | 08 | 2021

Tra critica sociale e sensibilità postcoloniale

Henry Brandt | Intervista a Frédéric Maire e a Caroline Fournier

Frédéric Maire a Locarno © Locarno Film Festival / Ti-Press / Marco Abram
Il Locarno Film Festival va alla riscoperta del cinema svizzero d’autore, grazie alla collaborazione con la Cinémathèque suisse.

Henry Brandt è stato uno dei pionieri del Nuovo cinema svizzero.

Pur essendo stato un cineasta innovatore, coraggioso e impegnato, nonché fotografo prolifico e molto apprezzato, non è molto conosciuto dalle nuove generazioni di appassionati e addetti ai lavori.

In occasione del centenario dalla nascita, celebrato attraverso numerose iniziative, il Locarno Film Festival ha ospitato le proiezioni di tre perle della sua filmografia, restaurate di recente: Les nomades du soleil (1954), Quand nous étions petits enfants (1961) e La Suisse s'interroge (1964).

Abbiamo incontrato Frédéric Maire e Caroline Fournier, rispettivamente direttore e responsabile del Dipartimento film della Cinémathèque suisse.

Qual'era il rapporto tra Henry Brandt e il Locarno Film Festival? 

Frédéric Maire: Brandt era uno spettatore assiduo del Festival. Alcuni suoi film sono stati proiettati a Locarno e sono stati anche premiati. 

Nel 1955, ha vinto il primo premio nella categoria dei film etnografici per Les nomades du soleil, l’opera che lo ha reso famoso. Nel 1961, è stato premiato invece con la Vela d’argento per Quand nous étions petits enfants.

Lo sguardo di Henry Brandt sembra diverso rispetto all’orientalismo tipico dell’epoca. Insomma, non proprio in linea con l’ideologia coloniale… 

F.M.: Henry Brandt aveva un grande rispetto per i soggetti che rappresentava. 

Per quanto riguarda Les Nomades, occorre ricordare che si tratta di un film su commissione del Museo etnografico di Neuchâtel.

All’epoca, il direttore era Jean Gabus. Questi può essere considerato come uno dei pionieri elvetici di un discorso postcoloniale, non eurocentrico e, quindi, antirazzista

Anche in Quand nous étions petits enfants, Brandt mostra uno spettacolo blackface dei bambini, oggi scioccante, ma fa seguire subito dopo un commento velatamente critico.

In Quand nous étions petits enfants, Brandt documenta una sorta di utopia pedagogica. Si tratta di una rappresentazione realistica?

F.M.: Assolutamente sì. Charles Guyot, il maestro, era un seguace del metodo pedagogico dei coniugi Célestin e Élise Freinet, molto popolare in Francia. 

Per i Freinet, gli scolari dovevano essere parte attiva nel processo di apprendimento e non semplici contenitori da riempire di nozioni. Questo metodo dà molta importanza al fare, all’esperienza all’interno del contesto sociale e naturale del bambino.

Il film di Brandt è in questo senso un documento pedagogico straordinario.

Quali sono state le sfide principali che avete dovuto affrontare durante il restauro dei film di Brandt? 

C.F.: Ancora in vita, Brandt ha iniziato a depositare i suoi film presso la CS. Questo ha permesso di conservare al meglio le pellicole.

Alla fine degli anni ottanta, si è addirittura occupato di un primo restauro de Les nomades du soleil. Quest'opera, tuttavia, è stata girata con materiale invertibile, ovvero in grado di produrre direttamente un positivo.

La qualità è quindi meno buona rispetto alla pellicola tradizionale, soprattutto per quanto riguarda il contrasto, molto netto, privo di sfumature.

La Suisse s’interroge è forse il titolo più famoso della filmografia di Brandt. Un pugno nello stomaco inserito allora in un contesto di visione molto particolare…

C.F.: Il film, composto da 5 cortometraggi girati e mostrati in diversi formati e tipologie di schermi, è stato visto da milioni di persone durante l’Expo nazionale del 1964. 

L’esperienza di visione consisteva in un itinerario da percorrere a piedi all’interno di un padiglione. Vedere il film in sala è un’esperienza forte, ma non è lo stesso. 

Occorre tenere anche presente che Henry Brandt, che lavorava sempre su commissione, è riuscito a creare un’opera fortemente critica, nonostante la sceneggiatura fosse sottoposta a controllo governativo.

Brandt è stato anche fotografo e ha prodotto molto materiale audio. Che rapporto c’è con la sua attività cinematografica?

C.F.: L’attività fotografica procedeva spesso in parallelo con quella cinematografica.

Les Nomades du soleil, ad esempio, è anche il titolo di un libro di fotografia dello stesso Brandt.

Il materiale audio dell’autore, invece, lo ritroviamo anche nelle opere cinematografiche, molto curate dal punto di vista acustico.

Brandt era solito lavorare con un registratore portatile della marca svizzera "Nagra", che gli garantiva qualità e libertà di movimento.

Intervista a cura di Mattia Lento

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