News  ·  10 | 08 | 2021

Intervista al regista

Bonifacio Angius – I giganti | Concorso internazionale

©Locarno Film Festival / Ti-Press / Samuel Golay

I giganti è un film concepito, scritto, girato e montato in tempo di pandemia: come ha influito sul progetto?

Il film I giganti è un gesto estremo, un atto per non soccombere alla paura, all’incertezza e all’angoscia che ho vissuto negli ultimi due anni. Per questo alla fine della prima ondata pandemica ho scritto in poche settimane la sceneggiatura e di lì a un mese ho messo in piedi una squadra di persone pronte a girare il film. È stata un’esperienza straordinaria: non avevo mai sperimentato una libertà simile.

Il film è prodotto in maniera totalmente indipendente: credi sia un’esperienza replicabile?

Impossibile. In quel momento ci sentivamo (parlo al plurale per tutto il gruppo di persone che mi hanno accompagnato) come un animale ferito pronto a tutto pur di sopravvivere: abbiamo girato in sole 3 settimane e mezzo, in una casa abbandonata usata come un teatro da posa, sfruttando tutte le energie possibili. Credo che il film viva di questo impeto, avvenuto anche grazie alla responsabilizzazione di giovani in ruoli decisivi della troupe affiancati da professionisti esperti. Eravamo uniti in un progetto puro, immediato, quasi incosciente.

Il film vive delle interpretazioni di cinque attori perfetti nei loro ruoli. Vuoi parlarcene?

Ho scritto il film per raccontare un gruppo di amici, complementari tra loro, ma tutti ugualmente perdenti e consapevoli del proprio fallimento. Sono egoisti, vigliacchi, disperati, non hanno più alcuna carta da giocare. Sono così perché hanno abdicato all’accettazione delle figure femminili nella loro esistenza. In mezzo ci ho buttato un ragazzo giovane, Riccardo Bombagi, un mio studente che ora ha recitato anche per il prossimo film di Leonardo Di Costanzo. Per gli altri ho mescolato diversi caratteri: Michele e Stefano Manca (famoso duo comico Pino e gli anticorpi) interpretano qui dei ruoli estremamente sofferti, poi Stefano Deffenu (già protagonista di Perfidia) porta la sua tenerezza, mentre a me spetta il ruolo forse più patetico…

Un film in cui sei regista, produttore, attore e anche direttore della fotografia. Come sei sopravvissuto?

Per più di tre settimane non ce l’avrei fatta. Ho imparato che in un film guidato dai dialoghi, dagli sguardi e dalle pause, essere all’interno mi ha permesso di guidare il gruppo di attori verso quello che volevo raggiungere, verso il sentire il ritmo interno della scena. È stata come una sorta di tranche e credo che si possa sentire l’intensità dell’emotività con cui ho dovuto fare i conti.

Intervista a cura di Daniela Persico

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