News  ·  06 | 08 | 2023

Intervista: Laura Luchetti su La bella estate

Le abbiamo chiesto come si adatti un classico della letteratura e come sia lavorare con giovani attori.

©Matteo Vieille

Essere alla loro altezza. Questo il segreto di Laura Luchetti, regista a tu per tu con la nuova generazione del cinema italiano. Quella che con lei ha girato La bella estate, ha preso Pavese e il secolo scorso e li ha portati nel 2023. Traducendo un testo che non invecchia mai. «La sua grandezza è tutta qui, nel raccontare la problematica universale della scelta. Pavese è meraviglioso nel racconto di un’età che non si supera mai. La gioventù è l’età che più a lungo vive con noi, e il momento dell’adolescenza e post-adolescenza è un momento spaventoso». 

 

Tra Pavese e queste premesse, l’impresa di farne un film può apparire titanica. 

Ho cercato di affrontare il suo libro con uno slancio d’amore. E di terrore. La sua grandezza è a priori questa: raccontare la problematica universale della scelta. Alla quattordicesima rilettura del suo romanzo breve ho iniziato a vedere i ragazzi vestiti in tuta e maglietta. Se guardate come sono vestiti, i ragazzi, grazie al bellissimo lavoro di ricerca dei costumi, potrebbero tranquillamente vivere nel 2023. Ginia è una ragazza moderna, al bivio del desiderio, dell’orientamento sessuale, di cosa si aspetta la società da te e di cosa vuoi tu. Amelia è una donna forte, ma con le debolezze di un passato che non sappiamo, ma intuiamo. Pavese descrive “la storia di una verginità che si difende”, e io da qui sono partita per navigare verso una verginità che si orienta. Le pagine del libro che raccontano le due ragazze vibrano. 

 

E poi ci sono gli uomini. 

Nel libro erano tagliati con una “accetta maschilista”, trattati con severità anni Trenta. Nel film, Severino di cognome fa Luchetti: è mio fratello, lo ammetto senza problemi. L’ho addolcito, è un personaggio molto moderno. Di Pavese ho preso la meravigliosa e rara intuizione di raccontare un fratello e una sorella e l’ho fatta lievitare: Severino è il primo che capisce i turbamenti di Ginia. 

 

Al centro del film, nell’Atelier, davanti allo specchio, in casa, ci sono i corpi. 

A quell’età non si è quello che si dice, si è dove il corpo ti porta. Quello di Ginia non riesce ad essere contenuto, non ci sta, né nello specchio, né nella vasca – troppo piccoli. La bella estate diventa così un racconto sulla rappresentazione e soprattutto sull’essere visti e sul desiderio di essere visti dagli altri, per esistere. È Instagram, è TikTok. A mia figlia, e sotto sotto anche a Ginia, lo dico spesso: il vostro corpo è la vostra ultima arma politica.  

 

Come si lavora con ragazzi così giovani? 

Una sfida nella sfida: Yle era al suo primo grande personaggio, Deva alla sua prima esperienza in assoluto. Eppure, chi meglio di una modella poteva capire un discorso, un’emozione e un turbamento legati all’apparire e allo scomparire? Con Nicolas avevo già lavorato, ma era il suo debutto cinematografico, Cosima era appena uscita dall’Accademia. Poi Alessandro, Massimo, Anna e Andrea Bosca, che è il mio attore feticcio. Come ci siamo riusciti? Abbiamo fatto un laboratorio a luglio, poi prove, cercando di lavorare il più possibile perché le settimane di set sarebbero state poche. Tante prove per poi poter correre. Il loro affiatamento è stato incredibile e ha innescato una piccola magia: sono diventati un gruppo di amici, nella cornice di un piccolo film che abbiamo amato, insieme. Loro si sono fidati di me e io ho cercato di girare alla loro altezza. Nessun mostro dall’alto, nessuno “sguardo adulto”. Occhi negli occhi.  

 

Alessandro De Bon