Si parla poco, non succede quasi nulla e osserviamo personaggi alle prese con la noia, eppure l’universo di Niemand ist bei den Kälbern è una scossa che arriva diretta nella pancia e nella testa dello spettatore. Il merito è dell’atmosfera che la giovane regista Sabrina Sarabi è riuscita a ricreare, ma soprattutto della bravissima Saskia Rosendahl, sulla cui performance minimalista e spesso silenziosa si regge tanta parte del film: “Sono molto riconoscente. Questo premio non è soltanto personale, ma va anche al resto del cast e della troupe”.
In Niemand ist bei den Kälbern, Christin, il suo personaggio, è completamente scollegata dal mondo che la circonda, dalle cose, dagli animali, dalle persone che le stanno attorno, persino dal suo corpo. Fa un lavoro che non le piace, ha un compagno che non ama, un padre devastato dall’alcool e amicizie superficiali. Christin abita in mezzo al nulla insieme a Jan, il fidanzato di una vita, e alla famiglia di lui. Insieme si prendono cura degli animali della loro fattoria. Siamo nelle campagne della Germania orientale, in un contesto patriarcale e senza reali prospettive.
Per interpretare Christin, la sua alienazione, Rosendahl si appoggia agli oggetti attorno a lei, al suo rapporto con le azioni quotidiane, che compie senza alcun trasporto, alle espressioni di un viso sopra cui è scritta tutta la sua afasia e l’incapacità di cambiare vita. “Sono nata in un contesto completamente differente rispetto a quello del mio personaggio; interpretarlo ha significato per me una grande trasformazione, eppure ho cercato punti di contatto con lei. Uno su tutti: la passività che mi contraddistingue in alcune situazioni”.
Il romanzo omonimo di Alina Herbing, da cui è tratto il film, suscitò molte polemiche qualche anno fa per la rappresentazione così cupa di un contesto di campagna della Germania orientale. “Non ho letto il romanzo: ho voluto concentrare il mio lavoro interpretativo sulla sceneggiatura. Per me era importante creare qualcosa di nuovo. Personalmente penso che nel film la questione est-ovest sia molto meno importante che nel libro. Qui si parla di nuove generazioni senza prospettive”.
Mattia Lento