Una macchina su una strada polverosa porta un gruppo di studenti al loro ultimo giorno prima delle vacanze d’estate. Dietro corre un cane, Frida. Si ha l’impressione che Frida segua la macchina, si scoprirà che non è così. Il gruppo e l’individuo, lo stare insieme e il correre da soli: sono questi i poli tra cui ondeggia il nuovo film di Dominga Sotomayor. Tarde para morir joven è il racconto di Sofía ma anche quello della comunità dove la giovane vive, in attesa di raggiungere l’età adulta e trasferirsi dalla madre, che sta in città. Attorno a lei la regista disegna una rete di personaggi e di relazioni che evitano al racconto di ripiegarsi su un solo centro. Fin dalla prima sequenza il film parla di transizioni, di trasferimenti. Pensato come un racconto filtrato dal ricordo, Tarde para morir joven è ambientato all’inizio degli anni Novanta, durante un capodanno in un Cile che sta trascorrendo dalla dittatura verso qualcosa che ancora non conosce. L’estate australe con le lucine natalizie produce un senso di straniamento che il film non nasconde, anzi cavalca grazie al contributo di Inti Briones all’immagine. Sebbene al suo centro ci sia un’adolescente ribelle, il racconto adotta un tipo di luce soffusa: quella delle candele, perché nella comunità manca la corrente, e le luci della città sono sempre troppo lontane. Anche il rapporto tra la macchina da presa e i corpi è quasi discreto: quando questi sono in primo piano, è la penombra a proteggerne le forme.
Il film è come un sussurro. Un bisbiglio che ci arriva da un luogo lontano. È questa la sensazione che si ritrova nella dolcissima versione di "Eternal Flame" cantata da Sofía. Prima che il destino faccia il suo corso.