30 capre, 20 mucche, 5 collane, 2 muli. Parte tutto da lì. Pájaros de verano è la storia della discesa agli inferi di un intero paese, ma è anche una tragedia familiare di stampo greco. Divisa in cinque sezioni, l’azione comincia nel 1968 e dura dodici anni. Questa struttura rigida lascia però spazio a un realismo magico degno di Gabriel García Márquez. Dopo il sublime El abrazo de la serpiente (2015) e la sua esplorazione allucinogena della cultura amazzoniana, Ciro Guerra affronta per la prima volta il cinema di genere, con la sua produttrice e sceneggiatrice Cristina Gallego come co-regista. Insieme sovrappongono i codici dei gangster a quelli della comunità Wayuu. Mentre il consigliere mafioso diventa un palabrero di La Guajira, riconosciamo anche la formula scorsesiana dell’ascesa e della caduta. Tuttavia, questo non è un nuovo Il padrino. Non c’è nessuna glorificazione della violenza, e siamo lontani dal cliché latinoamericano dei narcotrafficanti. È il ritratto preciso di un periodo e di una cultura, di una società matriarcale dove le donne prendono tutte le decisioni e portano il peso del gruppo sociale. È una cultura dove le donne ballano, vestite di rosso, per regalarci una delle sequenze cinematografiche più belle dell’anno.