I suoi film, Der Glanz des Tages e Mister Universo, hanno ricevuto apprezzamenti e premi al Locarno Festival: possiamo dire che è stato il tuo trampolino di lancio?
Lo è diventato, sì. Quel che io adoro di Locarno è che hai l’impressione di trovare un pubblico preparato e amante di un certo tipo di film, che possiamo definire non convenzionali. Il cinema di oggi è molto vario, con stili, lingue e idee diverse per grandi e piccoli film: questo festival ha il coraggio di mostrarlo, segnalandosi come uno dei luoghi più interessanti per il cinema dei nostri tempi.
Come hai reagito a questo invito in giuria?
È un grande onore. Sono molto legata al direttore artistico Carlo Chatrian: io e Rainer Frimmel (con cui co-firmo la regia dei miei lavori) abbiamo cominciato il nostro cammino sulla comunità circense con il documentario Babooska (2005), che Carlo aveva mostrato a un piccolo ma bellissimo festival ad Alba. Siccome è il suo ultimo anno qui, non avrei mai potuto rifiutare. In questi giorni nella giuria ho avuto la possibilità di lavorare al fianco di persone che stimo molto: insieme abbiamo scoperto le nuove voci europee e internazionali. Tuttavia è difficile per un regista giudicare i lavori dei colleghi: uno sa cosa vuol dire fare un film, conosce gli sbagli, i compromessi che bisogna fare nella realizzazione... ma il vero talento lo si riconosce subito.
Nei tuoi film cade la distinzione tra vero e falso, c’è qualche influenza letteraria in questa ricerca?
Pensiamo che la realtà ci offra di più rispetto a quello che avremmo potuto immaginare. Per questo prendiamo delle storie vere e lavoriamo con attori non professionisti: per ottenere il meglio da loro, devi essere empatico nei loro confronti, sono persone che scelgono di fare un film con te perchè ti vogliono bene, altrimenti non ti farebbero entrare nel loro mondo. Naturalmente bisogna avere un sincero interesse per l’essere umano, non si può mentire: l’avevo come fotografa e ora l’ho come cineasta.
Nei vostri film, in particolare nei dialoghi, si sente una grande autenticità e freschezza...
Perché non sono scritti. Ho notato che se scrivo una scena a tavolino e poi la giriamo esattamente per come l’ho scritta vien fuori un film noiosissimo. Se invece diamo delle indicazioni generali agli attori, le interpretano a modo loro e il risultato è sorprendente e potrei rivederlo venti volte. Sia io che Rainer siamo documentaristi nel cuore: quello che la realtà ci mostra non può essere rifatto. Prendere il massimo della realtà per farne una finzione è un lavoro che tuttoggi ci sorprende.
Quale sarà il tuo prossimo lavoro?
Stiamo preparando un documentario in bianco e nero su un caso giudiziario avvenuto in Austria negli anni ‘70. Due nostri vecchi amici viennesi sono stati ingiustamente condannati a scontare una pena di 12 anni di prigione. Nel frattempo abbiamo già finito le sceneggiature per due film di finzione, ma siccome siamo sempre e solo io e Rainer Frimmel a lavorare sui nostri progetti, seguendoli sia come produzione che come regia, tutto va un po’ per le lunghe, ma è anche giusto: più passa il tempo e più si è preparati.
Cosa suggerisci a un regista alle prime armi?
Di fare un cinema sincero. Bisogna lavorare in modo da trovarsi a proprio agio... io per esempio devo sentire in ogni momento la libertà di cambiare e dire no. Ecco, non fare il cinema “come si deve fare”, bensì a modo proprio, in sintonia con se stessi. Ognuno deve trovare quel modo unico per esprimere il suo talento e solo così si raggiunge la sincerità.