A una prima lettura, la M sotto il cui segno la regista francese Yolande Zauberman pone la sua opera, Premio Speciale della Giuria 2018, richiama alla mente il titolo del capolavoro di Fritz Lang, M – Eine Stadt sucht einen Mörder; e anche se qui ci troviamo di fronte a un documentario, l’assonanza è subito rivelatrice. Anche M racconta, infatti, un’indagine che attraversa tutta una città e una popolazione; anche M va sulle tracce di un “mostro” che colpisce i bambini. Esso non si identifica però con una persona: il “mostro” raccontato da Zauberman è tutto il clima di repressione e omertà che circonda lo stupro dei bambini nella comunità ebraica ultra-ortodossa di Bnei Brak, in Israele. Conduce l’indagine Menahem Lang, fuggitone a vent’anni, dopo un’infanzia di abusi; seguito dalla telecamera di Zauberman, torna sulle scene del crimine e con struggente innocenza interroga sconosciuti, conoscenti, amici, famigliari, portando alla luce con sconcertante naturalezza le violenze, e investigando con esse tutto il rapporto di una comunità chiusa con la sessualità. Zauberman sorregge l’indagine con due potenti scelte registiche: pur lasciando Menahem al centro della scena (è lui che dirige inchiesta e conversazioni), non si elide dal film, ma assume invece il ruolo di io narrante. A rivelarlo, i suoi commenti fuori campo e soprattutto una telecamera che, oscillando sulla sua spalla, incarna il suo occhio di testimone, presentando così un mondo al maschile fortemente religioso con la distanza data dallo sguardo di una donna laica. Sceglie, anche, di filmare solo di notte, affogando le inquadrature in un nero perpetuo che non è solo quello delle tenebre.