News · 23 | 11 | 2019
News · 23 | 11 | 2019
Il cinema perde un pensiero, la critica il suo Socrate, il Festival un amico. Se ne è andato Jean Douchet, un uomo di cinema che al cinema dava del tu ma a cui, forse, il cinema dava del lei. Critico, storico, insegnante e perché no, anche attore e regista, Douchet era ed è stato un capitolo della storia del cinema. Letteralmente amico della Nouvelle Vague, firma dei Cahiers du Cinéma ad appena vent'anni, il Socrate della critica, come sarebbe poi stato battezzato, condivideva le pagine e i pensieri della più importante rivista di cinema del dopoguerra con Eric Rohmer, Jean-Luc Godard, Claude Chabrol e François Truffaut. Un'amiciza e una complicità che lo portarono con sfrontata naturalzza nei cast de I quattrocento colpi e di À bout de souffle.
La sua era una riflessione appuntita, illuminata da un'intelligenza acuta. Indispensabili i suoi sguardi su Alfred Hitchcock, Akira Kurosawa, Roman Polanski o Fritz Lang. E indimenticabili, per noi, le pagine con cui scrisse la storia di un'amiciza preziosa, quella con Locarno. Per il Festival, con il Festival, Douchet ha contribuito alla scrittura dei volumi delle retrospettive dedicate a Ernest Lubitsch, Vincente Minnelli, George Cukor e alla Titanus. Per quest'ultima rilasciò una lunga intervista a Nicholas Petiot, Un'idea sulla bellezza.
Nell'estate del 2011 lo ricordiamo insieme a Carlo Chatrian e con Olivier Père a ripercorrere la storia, i film e la vita di Vincente Minnelli. E di nuovo nel 2013, appassionato osservatore di George Cukor o nel 2015, per riguardare Sam Peckimpah, o due anni fa, per riflettere, ragionare e dialogare su Jacques Tourneur. Sempre lì, dove Jean Douchet non poteva che stare: tra il cinema, con il cinema.