Lili Hinstin ha 499 nuovi compagne e compagni di viaggio. La direttrice artistica del Locarno Film Festival è una dei 500, Variety500, l’elenco delle personalità che la nota rivista americana ogni anno, da tre anni, considera più importanti e influenti dell’industria dello spettacolo internazionale. Ma accogliendo il riconoscimento Lili Hinstin immediatamente lo allarga al Festival di Locarno. «Prima che a me in quanto persona e professionista singola, questo è un bellissimo riconoscimento per tutto il festival e per il lavoro che insieme abbiamo svolto l’anno scorso - racconta la direttrice artistica - voglio considerarlo un atto di fiducia nei nostri confronti, una porta aperta per farci conoscere e riconoscere. Che possa rivelarsi l’occasione per raccontare Locarno oltreoceano, a chi lo conosce per sentito dire o non lo conosce affatto. È un riconoscimento internazionale ma composto al 70% da personalità americane, motivo per cui esserci è ulteriormente un bel risultato, nonché un punto di partenza».
Al termine di Locarno72 uno dei moniti per il futuro immediato è stato proprio quello: crescere in America.
«È molto difficile, e lo sappiamo. È un mercato enorme che osserva molto al suo interno e al quale difficilmente una realtà esterna può portare un elemento di novità riconosciuta. Sta a noi provare a far capire quanto Locarno possa essere un importante punto di partenza nel mercato cinematografico. Da noi un film può iniziare e intraprendere un percorso vincente».
È un riconoscimento importante anche per la donna Lili Hinstin?
«Sulla questione delle donne la strada è ancora lunga. C’è ancora moltissimo da fare, ma qualcosa negli ultimi anni si è mosso, Me Too ha sbloccato qualcosa, o meglio lo ha interrotto. È stata una tappa fondamentale per bloccare alcuni schemi mentali inaccettabili. Il mondo sta cambiando, non ci si può più nascondere in un “era uno scherzo”. Certe parole e certi atteggiamenti non possono più esistere e benché come in ogni movimento possano accadere estremizzazioni contrarie, l’onda è giusta, è un passaggio essenziale per la fine dell’incoscienza prepotente di alcuni uomini di potere. Ora il passo successivo è passare da “è successo anche a me (Me Too, ndr)”, a “ho i tuoi stessi diritti”. Quando si vedrà e constaterà che le donne sono altrettanto capaci degli uomini a ricoprire ruoli di responsabilità si sarà compiuto un altro passo decisivo».
In che direzione lo si può muovere?
«Nella retribuzione, ovvero lavorando sulla potenza simbolica dei soldi. Lo stesso ruolo deve corrispondere allo stesso stipendio».
Nel quotidiano lavoro di direzione artistica la questione femminile come si traduce?
«Per quanto riguarda la selezione dei film un Festival lavora con ciò che il panorama offre e propone; vivo il lavoro di selezione e in generale l’esperienza visiva con cuore e cervello, lasciando parlare il film, non la carta d’identità di chi lo ha diretto. Nelle scelte dipendenti dal volere del Festival invece, penso alla scelta di una retrospettiva o dei premiati, chiaramente si può e si deve porre attenzione».
Locarno72 ha presentato film diretti da registe o con interpretazioni femminili che stanno avendo importanti riconoscimenti.
«Sì, da Love me Tender di Klaudia Reynicke a A Febre di Maya Da-Rin, passando dai successi di Instinct, di Halina Reijn, che mi hanno detto essere uno dei maggiori successi del cinema d’autore dei Paesi Bassi. Ma io penso anche a un film come 143 rue du désert, diretto da un uomo (Hassen Ferhani, ndr) che sta raccogliendo altrettanti riconoscimenti, o il Pardo d’oro, Vitalina Varela di Pedro Costa, vincitore anche del Pardo per la miglior interpretazione femminile che è costruito sulla storia e si potrebbe dire addirittura sul corpo della protagonista».
Variety500 riconosce le personalità più influenti dell’industria dello spettacolo. Come ti piacerebbe essere influente?
«Mi piacerebbe che la gente traesse ispirazione per mettere in gioco il proprio coraggio. Questo è il Locarno Film Festival e questo è stato il nostro lavoro: immaginare, costruire e essere un Festival capace di ragionare e pensare una programmazione oltre le mode, i trend e il pensiero comune».
Dove ti piacerebbe portare il Festival?
«A essere sempre di più un luogo in cui i grandi artisti contemporanei si propongono e trovano e in cui il pubblico può incontrare le proposte artistiche più forti e indispensabili».
Chi porteresti volentieri con te tra i 500?
«Chi difende il cinema d’autore, i più spinti, forti e per l’appunto coraggiosi nella difesa di un cinema che non ha un mercato semplice. E magari giovani, affinché non sia soltanto una celebrazione e un riconoscimento ci ciò che è stato, bensì uno sguardo che rifletta quel che sarà o potrà essere».