Ad arrivare in macchina si vede subito una parata di ramina che circonda l’imponente edificio grigio-bruno. Da ex-caserma qual è, non stupisce che per accedere al BaseCamp, situato a Losone, si debba superare un marziale cancello con tanto di filo spinato; ma è solo questione di ore perché al metallo si intreccino lampadine di carta, mentre gli austeri neon dei corridoi già sono stati sostituiti da variopinte luci fluo. E le grandi stanze vuote – refettori e ripostigli e inquietanti sotterranei – aspettano solo di accogliere gli interventi artistici dei “campeggiatori”, tra armadi che diventano vetrine e pareti pronte a farsi graffito.
«Il BaseCamp nasce come un’evoluzione naturale del rapporto del Festival col suo pubblico giovane» spiega Stefano Knuchel, curatore del progetto. «Locarno puntualmente reinventa il suo modo di rivolgersi ai giovani perché loro stessi cambiano; in questo senso, il BaseCamp rappresenta un salto di qualità: permette a persone che non avrebbero mai potuto seguire il Festival di viverlo, e di farlo al meglio, spingendosi dietro le quinte e contribuendo – con la loro presenza, le loro osservazioni, le loro iniziative – a far evolvere la manifestazione».
Nei corridoi ci imbattiamo in un giovane armato di scotch stampato con l’icona del BaseCamp: è Ares Pedroli, grafico 21enne di Chiasso che in tempi brevissimi ha ideato l’identità visiva del progetto. «Abbiamo avuto pochissimo tempo», racconta Knuchel. «Siamo partiti tre mesi fa e dovevamo creare tutto da zero. La prima cosa che avevamo bisogno erano logo e sito web, e da subito volevamo mostrare che questo è un progetto dei giovani. Dunque non abbiamo lavorato con i servizi interni al Festival ma abbiamo scelto Ares, che ha creato tutto in tre settimane. Così ora nel corpo del Festival abbiamo il lavoro di un ventenne che può influenzare Locarno con un’estetica nuova. È esemplare di come il BaseCamp possa generare idee».
Lo scotch disegna icone che guidano attraverso le sale: una caraffa conduce al refettorio rivisitato con tavoli da picnic, una nota musicale allo spazio feste nei pressi del bar – e poi c’è la zona relax con cuscini e divani. «Le persone che vengono al BaseCamp sono libere di fare quel che vogliono. Innanzitutto sono qui per seguire il Festival, ma al contempo proponiamo loro occasioni per conoscersi e capire cos’è veramente Locarno: ad esempio, dato che quattro di loro sono in concorso nei Pardi di domani, abbiamo suggerito a tutti di andare a vedere le proiezioni; una sera inviteremo i registi a parlare del loro lavoro in presenza dei selezionatori, che spiegheranno i loro criteri nella scelta dei film. Oltre a questo, al BaseCamp offriamo spazi di incontro, e ogni sera bar e discoteca dalle 22 alle 2 del mattino. Speriamo che queste occasioni di dialogo aiutino il formarsi, tra i partecipanti, di una rete intergenerazionale; li abbiamo selezionati anche in base a questo…». Una selezione che ha portato a scegliere circa 200 giovani, come testimonia il plotone di letti freschi di montaggio che li aspettano, coronati da armadietti d’un arancio anni Settanta, eredità dei militari. «Per la selezione dei partecipanti la parola chiave è stata: diversità. Abbiamo aperto le candidature online, e poi nella scelta abbiamo cercato un buon rapporto tra uomini e donne, svizzeri e stranieri, persone che si occupano di cinema e non (penso a curatori di iniziative culturali, studenti di scuole d’arte svizzere, scienziati, gente che si sta specializzando in legge in rapporto all’arte…)».
Usciamo dall’edificio. Un grande cartello sospeso sulle arcate del portone dà il benvenuto agli ospiti imminenti. Per tutti gli altri, una pubblicazione distribuita con l’ultimo Locarno Daily sarà mappa, racconto e archivio del progetto BaseCamp 2019.