Vitalina Varela, partiamo dal riconoscimento ricevuto: cosa si prova a essere premiata a Locarno?
Sono stata molto felice di vincere questo premio, lo dico dal profondo del cuore. È una testimonianza dell’amore con cui abbiamo girato questo film e di quello che abbiamo ricevuto qui al Festival.
In Vitalina Varela il confine tra finzione e realtà è ancor più sottile rispetto a quanto accadeva in Cavallo denaro. L’ha spaventata mettere così tanto di sé stessa davanti alla macchina da presa?
Può sembrare facile adesso che siamo seduti qui e il film è finito, invece abbiamo affrontato un’enorme mole di lavoro. In qualche momento è stata così dura che ho avuto paura di non farcela. Non ringrazierò mai abbastanza Pedro perché mi ha dato fiducia e supportato non soltanto durante la lavorazione del film ma anche nella vita. Ringrazio anche i compagni che hanno fatto il film insieme a noi, è stato il lavoro di un gruppo di persone. Penso soprattutto a Ventura, che non è qui con noi. È un film che racconta molto di me ma anche delle persone che vi hanno lavorato.
In un mondo che sembra diventare sempre più problematico per immigrati e minoranze etniche quanto è importante mostrare le tradizioni e i valori di queste persone?
Tutti gli immigrati provano la stessa tristezza quando devono abbandonare il loro paese. Grazie a Pedro ho ottenuto i documenti, che sono il problema maggiore per un immigrato. Adesso ho un lavoro e posso sopravvivere. La grande contraddizione rimane però che a ricevere aiuto di solito sono coloro che non ne hanno veramente bisogno, soprattutto quando si tratta di lavoro.