Quella del produttore napoletano Alberto Grimaldi è una vita di cinema esemplare e oggi probabilmente completamente impensabile. Nasceva avvocato, Grimaldi, e con un senso dell’avventura e del rischio che se non ce l’hai non te lo puoi inventare. Rispetto ai grandi capitani d’industria dell’epoca d’oro del cinema italiano, Grimaldi ha sempre conservato un profilo autoriale altissimo. I film e gli autori lui se li andava a cercare. E di certo non era uno che si faceva mettere in difficoltà dal gretto conformismo moralista o ideologico del tempo. Una filmografia incredibile, la sua. L’acronimo PEA – Produzioni Europee Associate – era sempre sinonimo di un guardare al di là degli orizzonti culturali esistenti. La sua filmografia è divisa equamente, e senza grandi proclami, fra film schiettamente popolari e di genere ma mai populisti, e cinema d’autore. Animato da un piglio arrembante, produce Primo Zeglio, Umberto Lenzi, E. B. Clucher, Gianfranco Parolini, Sergio Sollima, Sergio Corbucci e altri. Oggi ovviamente il suo nome è legato a Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini, Bernardo Bertolucci, Elio Petri, Gillo Pontecorvo, Francesco Rosi, Sergio Citti e ovviamente a Gangs of New York di Martin Scorsese.
Grimaldi non aveva paura. Proprio come i suoi registi.
A Grimaldi il Locarno Film Festival deve uno dei momenti chiave della sua storia. Nel 1973 il festival presenta Storie scellerate di Sergio Citti provocando una risposta violentissima da parte del pubblico e della critica. Pasolini, avuto notizia della cosa, parte alla volta di Locarno per difendere il fraterno amico Citti e il suo magnifico film. Grimaldi non aveva paura. Proprio come i suoi registi. La sua filmografia è piena di film che hanno affrontato a muso duro (per dirla con Pierangelo Bertoli) le viltà del suo tempo. Per Ultimo tango a Parigi viene condannato a ben due mesi di detenzione, ma nel 1997 il film verrà presentato con tutto il rispetto che merita quando a Bertolucci è conferito il Pardo d’onore. Solo un anno dopo Ultimo tango, Grimaldi era alle prese con Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini che Daniel Schmid selezionò nel 1981 nell’ambito della sua carte blanche locarnese. Ogni capolavoro prodotto da Grimaldi ha segnato la storia italiana. Anno dopo anno, a partire da Tre passi nel delirio film a episodi che contiene il magnifico Toby Dammit felliniano, Grimaldi ha permesso agli autori che produceva di esplorare la loro libertà espressiva senza timore o calcolo. Nessun sequestro, nessuna censura spaventava Grimaldi. Alberto Grimaldi è probabilmente il produttore che più di tutti ha influito sul costume e la società italiana degli anni Settanta. Cadaveri eccellenti di Francesco Rosi è forse uno dei più lucidi attacchi a un sistema politico nel quale s’intrecciavano trame eversive e mafia. Probabilmente era la sua tempra di avvocato che gli ha permesso di combattere con la censura e le carte bollate dietro le quali si nascondevano coloro che volevano mettere a tacere Bertolucci e Pasolini e altri ancora. Oggi, a rileggere la sua filmografia (quanto bisognava essere intellettualmente liberi per capire, all’epoca, che Sergio Leone era un genio?), si stenta a credere che un solo uomo abbia potuto produrre Salò, il Satyricon e il Casanova di Fellini, la Trilogia della vita, Novecento e persino un Monicelli segreto come In viaggio con Anita. Una grande lezione di libertà e coraggio, quella di Alberto Grimaldi. Una lezione che non deve essere dimenticata.
Giona A. Nazzaro