80 anni e non li dimostra, Bernardo Bertolucci; il ragazzo di Parma che ha sempre il cinema negli occhi. Nel 1997 il Locarno Film Festival lo ha insignito del Pardo d’onore. L’anno prima aveva realizzato Io ballo da sola, film poco compreso eppure abbagliante nella sua serena bellezza inquieta. Erano ancora da venire The Dreamers – I sognatori e Io e te, film clamorosi e intimi, enormi, per ampiezza di sguardo e pensiero, segreti per come riannodavano e scioglievano i fili delle molte vite di Bertolucci. Il Pardo d’onore del 1997 coglie il regista in un momento di straordinaria creatività. A noi spettatori, in quel momento storico, il privilegio di vedere svolgersi davanti ai nostri occhi una storia che ri-guardava (letteralmente) tutto il cinema (e non solo italiano). E la consapevolezza che in fondo i film di Bertolucci guardavano (anche) noi, noi abitanti di quel paese che chiamiamo Cinema.
Bertolucci si racconta in uno scritto che è racconto biografico e analisi critica, come se la lezione dei Cahiers guerriglieri e innamorati, una volta appresa par coeur, non fosse mai stata messa in discussione.
Grazie a Elisabetta Sgarbi e La nave di Teseo, è ora disponibile la lectio doctoralis, sino ad oggi inedita, che il regista scrisse nel 2014 in occasione della laurea honoris causa ricevuta dall’Università di Parma. “Bernardo Bertolucci è un regista che è più forte di ogni suo film. Bernardo conosceva il valore delle parole, essendo figlio di Attilio. Si tratta di un onore dare alle stampe questo scritto bertolucciano. Ho avuto un rapporto lunghissimo con Bernardo, che ho conosciuto grazie a enrico ghezzi. Ci legavano moltissime cose, ma una di quelle che ricordo con maggiore commozione è la complicità che ci stringeva a Il fastidio delle parole di Fabio Garriba, che per Bernardo era un libro fondamentale”. Con la collaborazione e complicità di Michele Guerra, Bertolucci si racconta in uno scritto che è racconto biografico e analisi critica, come se la lezione dei Cahiers guerriglieri e innamorati, una volta appresa par coeur, non fosse mai stata messa in discussione. Infatti, come sostiene Piero Spila, citato alla terza riga del libro, critico che ha frequentato Bertolucci sino all’ultimo: “Il cinema di Bertolucci è fatto apposta per l’ingordigia dei cinephiles perché cerca sempre di rappresentare ciò che generalmente è sottratto alla vista del quotidiano. Un cinema che insegue l’indicibile, guardando la realtà con concupiscenza e meraviglia, come la Terra vista dalla luna. Non c’è un’immagine di Bertolucci che si accontenti di riproporre la realtà così com’è senza intervenire per trasformarla e sublimarla”.
A percorrere le pagine di questo libriccino che contiene vite, si può riassaporare il suono e la dolcezza delle parole di Bertolucci. Tante le occasioni di incontro e di scambio. Tutte scolpite nella memoria. Ascoltarlo mentre svolgeva e annodava il filo delle storie. Mentre si abbandonava al piacere dei ricordi della sua cinefilia. L’umiltà di un gigante che chiedeva il numero di telefono di un collaboratore a Edoardo Bruno, il direttore di Filmcritica, perché aveva apprezzato quel che la rivista aveva scritto di The Dreamers e voleva ringraziare. O il suo stupore quando alla Casa del cinema di Roma si ritrova davanti Tomas Milian, grazie a una sorpresa confezionatagli da Marco Müller. “Tommasino, ma che ci fai qui?”, sorride. E Milian, lacrime agli occhi, che quasi cade in ginocchio e gli prende le mani, accarezzandole, sfiorandole con le labbra. Seguiva sempre i film degli autori che amava. Di Godard voleva sempre sapere tutto. Cos’era quella storia che riguardava Rohmer in un episodio delle Histoire(s) du cinéma? Tutta la vita di Bernardo Bertolucci è stata dedicata al Mistero del cinema. Non poteva esserci titolo più giusto per questa lectio doctoralis che finalmente vede la luce. Come un ultimo film. Imperdibile.
Giona A. Nazzaro