News  ·  04 | 08 | 2022

Nuit obscure – Feuillets sauvages (Les brûlants, les obstinés)

Sylvain George | Fuori concorso

La condizione di migrazione e di lotta sono sempre state alla base del cinema di Sylvain George, cineasta che fin dai primi lavori (dei cine-reels in pellicola), tornava a puntare l’attenzione sul mezzo cinematografico come potente atto politico. La grana della pellicola diventa la materia in cui scolpire le piaghe che i migranti portano sui propri corpi e le proprie mani, l’indicalità del mezzo analogico svelava di nuovo tutta la sua necessità nel farsi carico di una realtà poco e male raccontata, il tempo di una bobina si trasforma nell’urgenza di un passo nella rivolta al loro fianco. 

Per dieci anni, il cineasta francese ha lavorato attorno a un nuovo progetto nella città di Melilla, in Marocco, da cui tanti ragazzi (alcuni anche minorenni) partono verso l’Europa. Nuit obscure – Feuillets sauvages (Les brûlants, les obstinés) è solo il primo volet di un’opera destinata a segnare la nostra percezione di spettatori occidentali, immergendoci in una vita distante eppure così definita dal nostro voler restare ciechi. 

Il punto di partenza è Melilla: luogo d’incontro di diverse figure, perlopiù giovani pronti al loro grande viaggio, che si trovano intrappolati in una sopravvivenza stentata, privi di mezzi economici, continuamente pervasi dall’idea della partenza che li spinge a tentativi rocamboleschi per salire sulle imbarcazioni e all’uso delle droghe per sopravvivere alla delusione che ogni giornata porta con sé. I loro corpi, talvolta dei veri e propri spettri, si aggirano per una città che sembra estranea, nelle sue geometrie lineari e nell’essere sempre stata una colonia spagnola, dal passato franchista. La popolazione è ridotta a muli da soma, frontalieri che rivestono i loro corpi con la merce da contrabbandare, dei trasportatori umani ormai senza alcuna identità. 

La costruzione dialettica della prima parte del film, in cui la situazione generale della città (con anche il suo retaggio storico) si alterna alle singole storie di chi la abita con la propria odissea quotidiana, lascia progressivamente spazio a momenti lirici in cui alcuni dei protagonisti ritornano agli elementi primari (l’acqua e il fuoco) che diventano un simbolo di libertà e di lotta. Una sapiente costruzione di pensiero, prima ancora che di cinema. Tra gli abbaglianti riflessi dei raggi del sole sull’acqua, si nutre il sogno del viaggio, della possibilità di una vita migliore in un altrove ingannatore che mostra risvolti diversi del qui conosciuto. Un’ode politica, mai didascalica, su chi sta tentando di trasformare il tessuto della società. 

Daniela Persico