Da dove viene l’idea di Gigi la legge?
Questo progetto nasce dalla mia volontà di tornare a casa. Abbiamo girato nel mio paesino, San Giorgio al Tagliamento, in Friuli. È dove sono cresciuto e avevo girato L’estate di Giacomo, presentato nel 2011 a Locarno. All’epoca mio figlio era appena nato, mi ero concentrato sulla fuga di due ragazzini che vanno al fiume, oggi che sono più maturo, e mio figlio va alle scuole medie, volevo trattare quello che in quel caso era rimasto fuori campo: la pianura, la campagna. Il cuore del film è il giardino del protagonista, il posto in cui ho passato le estati da bambino, in cui giocavo a nascondino.
Poi c’è Gigi.
Del giardino si occupava mio zio Gigi, a modo suo, in maniera molto romantica. Praticamente non se ne occupava, le piante avevano invaso tutto. Era una giungla: dall’interno molto bella, dall’esterno tutti i vicini si lamentavano. Lui è un vigile urbano con spiccato senso del suo ruolo. Mi è sembrato naturale pensare a un film poliziesco di campagna, in friulano, con mio zio come protagonista. Volevo girare d’estate, la stagione in cui quella regione si vive di più, con poca gente, un caldo pesante e le zanzare. Ci voleva un’indagine e non volevo una storia di finzione troppo codificata. Qualche anno fa una donna si era tolta la vita in paese, all’altezza di un passaggio al livello, fra un campo di calcio e un cimitero. Una zona interessante, in cui passavo spesso. Un posto in cui varie persone si sono suicidate, come attratte da una calamita. Ho scoperto poi che in ogni paese esiste un posto del genere. C’è il treno che passa, ci sono le persone che restano e quelle che se ne vanno, come è accaduto a me. Poi quelli che cercano di partire, ma non ce la fanno e forse finiscono sotto le rotaie. Il giardino, Gigi e il passaggio a livello. È stato questo il punto di partenza del film.
La fuga è un tema centrale: ne L’estate di Giacomo c’è il fiume, qui ci sono i binari del treno.
Il gesto cinematografico è un atto di libertà estremo per me. Mi interessa parlare di personaggi che cercano di scardinare le regole, aprire le porte e liberarsi da un posto chiuso. Come Gigi, che gira in tondo in quella piccola zona di campagna. Il mio cinema è in costante dialettica fra essere rinchiusi e cercare di andarsene. Anche la mia biografia: me ne sono andato, ma costantemente ci ritorno per girare i miei film.
Com’è andata la scelta dell’interprete di Gigi?
Ho scelto di lavorare con mio zio, non avevo un personaggio in testa. Il film nasce da lui. Gli voglio molto bene, c’è in lui un lato leggendario. Il titolo, Gigi la legge, è il suo soprannome dato dai colleghi per prenderlo in giro. Ha un suo ruolo in una piccola società molto chiusa. Come in ogni paese ci sono le persone e poi i personaggi, di cui si raccontano le gesta al bar. Ce ne sono diversi, ognuno con un soprannome. Gigi è uno di questi, fra verità e leggenda. Con questo film volevo omaggiare questi personaggi di paese che stanno scomparendo.
Mauro Donzelli