La nazionale di calcio dell'Honduras si è qualificata per la prima volta ai Mondiali nel 1982. Intorno a quest'evento sportivo ruota il film d'esordio di Aeden O'Connor Agurcia, originario di Tegucigalpa, che al tempo del Mundial in Spagna non era ancora nato, ma dimostra di essere senza dubbio pienamente consapevole dell'importanza del tifo calcistico per i suoi compatrioti: una sorta di seconda fede, per alcuni l'unica e sola. Il legame tra i tifosi e le gesta dei calciatori, quasi eroiche per i supporter di questa piccola nazione centroamericana, è il filo conduttore di quattro episodi separati, che ambiscono a offrire un quadro sufficientemente completo della società honduregna, tra problemi economici e sociali e speranza nel futuro. Dal punto di vista produttivo, il film è particolarmente interessante, perché nasce nel contesto economico di un paese che non ha una vera e propria industria cinematografica e nemmeno scuole di cinema per istruire e formare i filmmaker di domani. L'obiettivo, dunque, di Aeden O'Connor Agurcia e dei suoi collaboratori è quello di raggiungere un pubblico vasto, magari anche fuori dai confini dell'Honduras, con un film a basso budget e alta creatività, girato con una semplice videocamera Panasonic GH5. In sceneggiatura, questo intento di ammortizzare i costi e ottimizzare i risultati, senza rifugiarsi nell'autoreferenzialità tipica di molte produzioni underground, si traduce in una narrazione forte, appassionante, che tenga conto dei leggeri cambi di tono tra le quattro storie, comunque accomunate da sfumature drammatiche. La violenza, infatti, sembra un vissuto inevitabile per i protagonisti. Un migrante finisce nel bar sbagliato, alla mercé di messicani attaccabrighe, proprio mentre la tv trasmette la partita in cui l'Honduras sconfigge ed elimina il Messico. Un hooligan continua a rischiare di essere coinvolto sistematicamente in scontri con le tifoserie avversarie, anche quando la giovane moglie sta per partorire. Un cameraman alle prime armi, incaricato di filmare la squadra dell'Honduras, per caso fa uno scoop di ben altro genere. Una vecchia gloria della formazione qualificatasi alla fase finale dei Mondiali del 1982 ritrova il senso della vita, aiutando una vicina di casa in difficoltà. 90 minutos non è un film pessimista che si limita a denunciare ciò che non va in Honduras, non si ferma alla pars destruens, perlomeno riguardo al destino dei personaggi. Vuole rappresentare le contraddizioni irrisolte ancora oggi in questo paese tra i più poveri del continente, ma ambisce pure a diventare un punto di riferimento artistico e produttivo per il cinema contemporaneo honduregno.
Francesco Grieco