«Lontano dagli occhi, lontano dalla mente», dice un uomo all’inizio di Matter Out of Place. Un commento intriso di cupa ironia nel contesto del nuovo documentario di Nikolaus Geyrhalter. Un’ironia che si potrebbe applicare alla maggior parte della sua filmografia. Tra i maggiori autori di non-fiction nel cinema contemporaneo, il regista austriaco ha passato gran parte degli ultimi tre decenni a documentare le conseguenze della modernità che molti di noi – soprattutto in Occidente – non vedono mai, e possono quindi tranquillamente, anche se sono parte integrante della nostra esistenza.
Laddove Unser täglich Brot (2005) osservava i processi di produzione industriale del cibo ed Earth (2019) la distruzione causata dagli enormi siti minerari in giro per il mondo, Matter Out of Place rivela la portata della nostra produzione di rifiuti (il titolo, come ci spiega una didascalia iniziale, è un termine che descrive «qualunque oggetto o impatto che non è naturalmente parte dell’ambiente immediato»). Firmando, come sempre, la propria fotografia, Geyrhalter ricorre al metodo del catturare i suoi soggetti all’interno di monumentali tableau sui quali solitamente si dilunga con inquadrature di durata estesa, incoraggiando la nostra contemplazione lasciandoci meravigliati dinanzi alla realtà che si manifesta davanti a noi. Il fatto che queste immagini spesso terrificanti sappiano anche essere molto belle le rende ancora più inquietanti.
Una fila infinita di camion riempiti fino all’orlo di spazzatura si avvia verso un interramento di rifiuti da qualche parte nel Sud dell’Asia. I carichi si accumulano su un mucchio la cui altezza rivaleggia con quella delle colline verdeggianti nei dintorni. La vista di questa montagna di pattume porta a uno stacco comparativo su una cima alpina, dove si vedono da lontano gli sciatori che attraversano la neve immacolata. Dall’alto dell’impianto sciistico, un camion dell’immondizia è trasportato sotto una funivia verso il paesino in fondo, galleggiando nell’aria in un momento di poesia surreale. Da lì, il film si reca in un resort di lusso ai tropici, dove l’estetica da cartolina è rovinata da mucchi di plastica che emergono dall’acqua in mezzo alle palme.
Invece di puntare il dito, Geyrhalter si concentra sulle persone che si dedicano alla pulizia del pianeta: dalle aziende di smaltimento alle organizzazioni di volontari nei Balcani, da un uomo solitario nel Sud asiatico che raccoglie rifiuti passando da una porta all’altra con il suo rickshaw ai sub che raccolgono la spazzatura in fondo all’oceano. Questa catena in giro per il mondo rende ineluttabile la nostra responsabilità e interconnessione, ma sta a noi decidere se il film rappresenta un invito a reagire o un presagio dell’apocalisse imminente.
Giovanni Marchini-Camia