L'ultimo film girato a Hollywood da Douglas Sirk, prima del ritorno in Germania, è davvero straordinario. Dimostra come per un grande regista i remake o, come sarebbe più corretto per Imitation of Life, i nuovi adattamenti di un testo letterario (in questo caso il romanzo di Fannie Hurst già portato al cinema nel 1934 da John M. Stahl, in una bellissima versione, che Sirk non aveva neanche visto) siano spesso una sfida per dimostrare di avere qualcosa di unico e moderno da offrire agli spettatori. E Sirk sicuramente non fa eccezione, pur non apportando in apparenza particolari cambiamenti alla storia. Quella più evidente, ma in realtà è una modifica sostanziale, riguarda l'ambientazione nel mondo del teatro e in parte del cinema, due universi che Sirk conosce a menadito e ai quali non risparmia qualche frecciatina. Lora Meredith, il personaggio interpretato da una convincente Lana Turner, che qui è molto lontana dai ruoli di femme fatale, non vuole semplicemente fare carriera: il suo sogno, anche a costo di trascurare la figlia Susie, è quello di diventare una star, a Broadway o sul grande schermo, magari recitando per un regista italiano tra i più apprezzati come Felluci (ricorda qualcuno?). Dunque, alla luce di questo, il titolo del film assume un significato più profondo. Se si sta attenti, nei dialoghi si ritrovano infiniti riferimenti lessicali al campo semantico della finzione. D'altronde, Lora non è l'unica nel film a vivere la vita come una grande recita (pensiamo a Sarah Jane, per esempio). La regia di Sirk riesce a racchiudere in poco più di due ore di durata una serie di eventi e colpi di scena, evoluzione psicologica dei personaggi compresa, con la solita, invidiabile fluidità di racconto. Tante le scene memorabili, ma accenniamo solamente all'incipit sulla spiaggia di Coney Island, in un film di rara compattezza e densità. Imitation of Life ha ambizioni quasi epiche, è una vera e propria summa del melodramma hollywoodiano: si piange moltissimo, e non solo per i tradizionali amori impossibili. Provate a non commuovervi quando la mitica Mahalia Jackson canta in chiesa Trouble of the World. Nel film la questione razziale entra di prepotenza come tema dominante e va a ad incrinare i rapporti tra madre e figlia, cioè tra Annie e Sarah Jane, con quest'ultima che sin da bambina si vergogna del colore della pelle della madre. Se ne ricorderà Todd Haynes in Far from Heaven (2002), una sorta di remake di All That Heaven Allows (1955), ma con l'attore afroamericano Dennis Haysbert nel ruolo che fu di Rock Hudson.
Francesco Grieco