Tutto si può affermare di Jane Birkin, tranne che fosse ancorata al suo passato. Inquieta e curiosa ha sempre guardato avanti, facendo i conti con il suo passato, ma senza mai permettere a esso di frenare la sua creatività. Se la tentazione o le banalizzazioni di turno tendono a celebrare l’icona degli anni Sessanta, d’altronde è parzialmente inevitabile, è pur vero che JB, come affettuosamente la chiamavano le persone che l’amavano, ha instancabilmente guardato avanti. Senza rimpianti e nostalgie. Basti pensare a un disco magnifico come Arabesque, nel quale rilegge dal vivo e con un gruppo di musicisti medio-orientali il repertorio dell’amato Serge per comprendere l’urgenza delle motivazioni che la spingevano avanti. Ed era proprio la musica, il luogo nel quale la Birkin si esprimeva con la felicità e la curiosità di un’entusiasta alle prime. Un disco come Rendez-vous, corredato dalle magnifiche foto di Kate Barry, esplora i suoi amori musicali contestualizzandoli in ambienti sonori sorprendenti e sempre nuovi. Da Bryan Ferry a Paolo Conte, da Feist a Brian Molko, da Françoise Hardy a Caetano Veloso, la musa di Jane Birkin esplora mondi lontani riflettendo sulla sua storia e la sua voce. Gli anni Sessanta forse erano lontani, ma l’inquietudine creativa era ben salda fra le pieghe di quelle canzoni. Sino alla fine Jane Birkin ha continuato a sorprendere sé stessa e coloro che l’amavano. Il suo ultimo disco, del 2020, prodotto da Étienne Daho e Jean-Louis Piérot, intitolato Oh ! Pardon tu dormais… presenta probabilmente la sua raccolta di testi più matura di sempre (che è quanto dire) cui le musiche dei suoi compagni di avventura prestano una visionarietà timbrica magistrale. Se dunque ci attardiamo sui lavori discografici, gli ultimi per giunta, è solo per celebrare la sua infaticabile curiosità e una creatività sempre inquieta che si è espressa anche lontana dal cinema e dalle sue collaborazioni più note. Jane Birkin è davvero il segno di quanto di un tempo irripetibile ma è, soprattutto, il segno di una determinazione a non volere restare intrappolata fra le pieghe di un’immagine e di una narrazione che mai hanno voluto tenere in conto la sua complessità d’artista. Per questo motivo Jane Birkin ci mancherà ancora di più. Perché la sua inquietudine generosa è una lezione attuale e dalla quale dobbiamo trarre insegnamento. E nel cuore conserveremo – sempre – le sue emozioni della sua presenza al Locarno Film Festival.
Giona A. Nazzaro, Direttore artistico del Locarno Film Festival