News  ·  11 | 08 | 2023

La città delle donne

Un film sulla sconfitta esistenziale dell'uomo, in un'epoca in cui nessuno ci avrebbe mai pensato, almeno in Italia.

© Collection Gaumont

Il capolavoro di Federico Fellini arrivato nelle sale italiane e mondiali nel 1980 arriva a chiudere un decennio in cui l’autore aveva speculato con lucidità quasi disarmante sul ruolo del “maschio” nella società moderna. La città delle donne si ammanta di un significato metaforico se possibile ancor più alto se visto come “specchio” brillante de Il Casanova di Federico Fellini. Entrambi i film riflettono in profondità e pessimismo sulla “bugia” dell’uomo-amatore come fulcro portante intorno a cui ruota la società dell’edonismo e del consumo emozionale. Se il primo film vedeva però la straordinaria prova di Donald Sutherland come angelo caduto in un universo sfatto e funereo, nel secondo caso invece Fellini si affida nuovamente a un Marcello Mastroianni soavemente impalpabile, e gli costruisce intorno un’opera che, pur nella sua evidente aura di decadenza, si mostra maggiormente solare e ariosa.  

A ben vedere, lo Snàporaz protagonista de La città delle donne è un fantasma, quello appunto del suo archetipo di latin lover ridotto (giustamente) ad agnello sacrificale sull’altare di un mondo che adesso appartiene alle donne. E lo diventa ancor di più grazie al caustico incipit del film, in cui il volatile e vanesio personaggio cerca di sedurre la bella sconosciuta sul treno. Mai come in questo lungometraggio Fellini adopera il suo attore-feticcio per raccontare invece sé stesso, e il suo rapporto edonico con l’altro sesso. I borbottii di Snàporaz mentre non riesce a contenere la sua libidine perso nella campagna romana sono un misto di italiano e inglese che sembrano appartenere alla mente combattuta del regista, così come, nella dolorosa scena del confronto con la moglie estraniata, la conformazione fisica della donna somiglia chiaramente a quella di Giulietta Masina. Sotto questo punto di vista, La città delle donne vuole essere un esplicito e comunque gioioso atto di contrizione da parte di un cineasta sempre disposto a mettersi in discussione, costantemente alla ricerca del modo esteticamente più consono per raccontare al pubblico che la sua poetica, le sue ossessioni, il suo mondo cinematografico sono basati sull’effimero, sulla caducità di idee e convinzioni personali e quindi perfettibili. Fellini è un cineasta senza passato o futuro proprio perché ci ha sempre mostrato i suoi limiti, e con essi la straordinaria capacità di vedervi oltre. Adoperando, come nei suoi migliori lavori, un impianto scenografico di soffocante potenza espressiva, Snàporaz attraversa i gironi del suo inferno di “maschio” con una leggerezza malinconica che soltanto Marcello Mastroianni poteva dargli. E non perché l’attore, come è ovvio che sia, conosceva in profondità sia il personaggio che il cineasta dietro di esso. C’è qualcosa di maggiormente soffuso e complesso in questa psicologia, come se si trattasse di un ultimo tentativo di negazione emotiva delle proprie colpe di “maschio” prima della definitiva accettazione dei propri errori. La città delle donne è un film sulla sconfitta esistenziale dell’uomo in un momento in cui nessuno ci avrebbe neppure pensato, almeno non in Italia. Come è stato scritto Federico Fellini non ha passato o futuro: è un cineasta eternamente attuale.  

 

Adriano Ercolani 

 

Curiosità
Snàporaz è il soprannome con cui Fellini chiamava affettuosamente Marcello Mastroianni fin dal tempo delle riprese sul set di  e deriva da un personaggio di un fumetto da lui inventato.