News  ·  11 | 08 | 2023

Milsu

Una bella storia di solidarietà e amicizia femminile in diretta opposizione al più cinico opportunismo di un'organizzazione criminale prettamente maschile.

Lo avevamo già visto, brevemente e in veste di attore, nel film Gyeongju di Lu Zhang, presentato a Locarno nel 2014, nel Concorso internazionale. Quella è stata l’ultima apparizione di RYOO Seung-wan davanti alla macchina da presa, prima di dedicarsi interamente alla regia. Un percorso che ha raggiunto vette notevoli qualche anno fa con Escape from Mogadishu, scelto per rappresentare la Corea del Sud agli Oscar nella categoria del miglior film internazionale. Un thriller capace di trasformare un’improbabile storia vera – le ambasciate delle due Coree costrette a collaborare per fuggire da una Somalia rosa dalla guerra nel 1991 – in grande intrattenimento, la conferma delle qualità di un certo cinema popolare coreano. A due anni da quell’exploit, il regista arriva in Piazza Grande, in anteprima europea con un altro esercizio di genere basato su eventi realmente accaduti, Milsu (Smugglers), che in patria ha incassato 26 milioni di dollari nel solo primo weekend di programmazione, riconfermando la forza commerciale di un mercato che non ha per forza bisogno di supereroi americani per smuovere le masse.  

Siamo negli anni Settanta, nella regione di Kunchon. Il capitalismo muove i primi passi in Corea del Sud, e con esso è arrivato il contrabbando di merci occidentali. Un traffico di cui entrano a far parte anche Choon-ja e Jin-sook, due tuffatrici esperte il cui vero business – la raccolta di frutti di mare – è in crisi a causa della costruzione di fabbriche nei pressi della spiaggia. I loro talenti sono particolarmente richiesti per il recupero di carichi clandestini lasciati in fondo al mare, che così entrano nel Paese senza la trafila burocratica. Ma non mancano le tensioni fra il gruppo di tuffatrici e i datori di lavoro, e le acque potrebbero rivelarsi più pericolose del solito, e non solo per chi lavora attivamente in questo ambito decisamente poco lecito.   

Se nel suo film precedente era tutto un inseguirsi per le strade, qui le insidie messe in scena da RYOO sono squisitamente liquide, tra rischi di annegamento ed elementi subacquei, viventi e non, che possono spuntare a tradimento. E in tutto questo, tra suspense e azione, costruisce un bel racconto di solidarietà e amicizia femminile in diretta opposizione al più cinico opportunismo dell’organizzazione criminale prettamente maschile (tra le figure negative riconosciamo ZO In-sung, già alla corte del regista in Escape from Mogadishu), con sensibilità moderne che si integrano in maniera efficace in un’operazione che ripesca quel senso vintage senza scimmiottarlo in maniera sterile, ricreando gli anni Settanta con autentico amore per il decennio stesso e per la sua produzione cinematografica. E nel contesto della Piazza, prima sala fuori dal continente asiatico a proporre il film, quel divertimento dal sapore all’antica ma non gratuitamente nostalgico si fa ancora più grande e spettacolare, portando a un segmento finale gioiosamente ipertrofico e al contempo profondo, in tutti i sensi.  

 

Max Borg